lunedì 15 agosto 2011

Il buio oltre la siepe


Non è una recensione del libro di Lee che mi riprometto sempre di leggere e non lo faccio mai, avrei potuto intitolare questo post "il vuoto sotto" e sarebbe stata la stessa cosa.
Dopo settimane di distacco totale dai problemi, o meglio, di totale immersione nei problemi con una sorta di muta protettiva che mi faceva nuotare senza timore...le bombole sono finite.
Improvvisamente mi è mancata l'aria e ho cominciato ad annaspare.
Se la totale, totalizzante, precarietà in cui mi trovo mi spaventava ma riuscivo a conviverci dignitosamente da un pò, ora mi si è aperta una voragine sotto la seggiola e mi pare di essermela cercata io questa precarietà così difficile da digerire. Potrei trovare (l'avrei pure già trovato) un lavoro serale che mi faccia guadagnare il giusto per pagare un affitto da sola, mantenendo magari la ditta al mattino e dandomi così la possibilità di fare ciò che mi piace durante il giorno. Ma la mia vita privata? Gli amici? Il cinema? L'arrampicata con Sturm? Il pilates con la Dè? Le cene con la Ale? Le sere tra chiacchiere e affetto? Dovrei rinunciare ad una fetta di me enorme, dovrei fondamentalmente rinunciare a me.
Come ho fatto a scivolare sull'olio che ho versato io stessa? Parlando probabilmente, parlando a chi sento più vicino al mondo e spiegando, con mio grande stupore, come ogni mia precarietà sia legata ad un'altra. Non ho soldi per vivere, come potrei volere qualcuno con cui condividere una vita senza viaggi, prospettive, futuro? Del resto cercare i soldi per vivere vorrebbe dire fare un black out, nemmeno tanto momentaneo, della vita al di fuori, togliendo possibilità di crescita alla sfera dei sentimenti che già mi pare di coltivare piuttosto poco. Due giorni fa ho tenuto in braccio Amelia che dormiva, abbiamo sincronizzato i nostri respiri e tutto mi pareva perfetto, eppure ai bambini chi ci pensa? Ho quasi trent'anni e non ho spazio neppure per me. Ho trascorso l'ultima settimana di pseudo vacanza sentendomi in colpa se non lavoravo a pieno regime, per cosa? Nemmeno un euro naturalmente. Ma allora perchè continuo così? Perchè non comincio a pensare che non sia normale abbracciare come unica soluzione quella di vivere a metà per non sentire troppo l'incompletezza di fondo della mia vita?
Eppure erano settimane in cui riuscivo ad essere gioiosa del semplice fatto di esistere, non può una semplice chiacchierata, peraltro piacevole e tranquilla, gettarmi in questo mare di lacrime senza senso nè utilità. Dovrei organizzarmi per le ripetizioni dei prossimi quindici giorni, finire i report del dottorato, concretizzare un pò di più la ricerca per l'esame di settembre, preparare un banalissimo zaino di sopravvivenza per i prossimi giorni di vai e vieni da Campopisano. Eppure sto qui a scrivere, e fino a poco fa stavo qui a non fare nulla.
Vorrei dormire ma non mi riesce nemmeno quello. Forse il problema vero sta proprio in quel vorrei, che non pronuncio mai ma sostituisco sempre con un dovrei. Io voglio continuare a dedicare il mio cuore a qualcosa e qualcuno che ho e che mi fa stare bene senza le grandi difficoltà conosciute in passato, voglio continuare ad andare in un ufficio dove i miei studi e le mie passioni possono essere messe alla prova ogni giorno, voglio abitare in una casa che mi permette di essere vicina a chi riesce a farmi ridere con una smorfia o mi offre una birra improvvisa, voglio riprendere in mano questi pezzi incasinati e ritrovare la strada del va tutto bene.

P.S. Per la foto grazie a Chiara, fresca compagna di camminate con Sturm. Un'altra cosa che voglio è dedicare presto uno spazio a un libro, una ricetta, un'idea, che non mi faccia sentire un'isterica che si sfoga sul web.

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