giovedì 27 settembre 2012

Fingers and love

Chissà se il matrimoio di Cecilia smetterà mai di essere ispirazione per il mio blog...
Questo post è di nuovo collegato alla meravigliosa festa della settimana scorsa, stavolta però il tema principale sarà il fai da te.
E' passato parecchio tempo dall'ultimo guizzo di creatività descritto qui, forse il mio compleanno era stata l'ultima occasione (http://ilmareingiardino.blogspot.it/2012/01/feltro-mon-amour.html)
Come al solito, il filo conduttore delle mie botte artistiche è il recupero dei materiali, l'uso "diverso" delle cose, la rinascita di oggetti, stoffe, pezzi di carta che andrebbero altrimenti perduti (http://ilmareingiardino.blogspot.it/2010/01/segnaposti-personalizzati-con-materiali.html).
La natura e i colori vincono sempre, anche in questo caso: la foto ben rappresenta quello che normalmente mi frulla per la testa quando si tratta di creare qualcosa, un albero, dei pennelli, della carta da pacchi e il fondamentale aiuto dei più piccoli.
L'idea è nata cercando in rete qualche ispirazione per gli addobbi della festa, in un sito specializzato in creazioni per matrimoni e ricorrenze con molti invitati ho trovato qualcosa di simile al mio albero. Usando i colori a dita le persone presenti all'evento possono lasciare un segno del loro passaggio, una vera e propria impronta digitale che ricorderà sempre ai festeggiati chi si è unito alla loro gioia.
Visto che al matrimonio era prevista la presenza di tanti bimbi, ho pensato che disegnare un albero e un prato, due simboli facili e molto affini al posto in cui Cecilia e Gabriele hanno scelto di riunire gli amici, potesse essere un buon modo per coinvolgere anche i più piccoli nell'allestimento.
Ma non credevo di riuscire così tanto nel mio intento.
Innanzi tutto perché la sera prima non avevo i colori. Poi, cercando in vecchie scatole polverose ho recuperato un indelebile nero e degli acquerelli mezzi secchi. La carta da pacchi mi è stata di aiuto, per le sue capacità di assorbenza e "cammuffamento" errori/difetti. Un piccolo foglio in linea con gli altri sparsi qui e là alla festa spiegava come fare, il resto è opera dei bambini: foglie, petali, frutti, gocce fluo hanno ricoperto i rami e i fili d'erba, hanno decorato il tronco e riempito il cielo. L'effetto finale, almeno secondo me, è bellissimo. E tanto commovente (ma su questo non faccio testo, piango per molto meno!).

Cosa serve?
- Un foglio carta (normale, da pacchi, riciclata...)
- Dei colori per la sagoma (vanno bene tutti, nel mio caso ho usato pennarello e acquerelli). Per la scelta della forma io ho optato istintivamente per un albero, ma è molto carino anche il mazzo di palloncini, per esempio.
- Dei colori a dita

E' molto facile, più di quanto si immagini, anche perché il vero lavoro creativo, come sempre, lo fanno i bambini.


P.S. Per la foto, grazie a Balletti!

lunedì 24 settembre 2012

Ho imparato a sognare

Non so da che parte cominciare.
Inizio magari spiegando il titolo: un pezzo di canzone dei Negrita che a Cecilia piace tanto. Chi è Cecilia? Cecilia è una mia amica, che si è sposata sabato, con Gabriele.
Oggi scrivo del loro matrimonio, con la gioia vera nel cuore.
Una giornata di festa, una sfida, un gruppo di persone, una famiglia-tribù.
A me piacciono gli elenchi, chi mi legge lo sa, perciò anche stavolta (come credo in ogni post pubblicato quaggiù) tante parole in fila mi aiuteranno a raccontare il week end appena trascorso.
Intanto circolo, come circolo ARCI che è quello che siamo per gli altri, ma anche come circolo di amici, che è quello che siamo per noi.
Gli sposi ci hanno chiesto, pochi mesi fa, di occuparci del loro pranzo di nozze, che più che un pranzo è stato una festa, una grande abbuffata con musica, giochi, balli, fotografie, filmati e amore.
Io, Elli, Silvia, K e KK abbiamo iniziato a cucinare venerdì mattina al Belleville e finito sabato durante il buffet: è stato faticoso e divertente, impegnativo e stimolante, lungo e veloce al medesimo tempo.
Torte di zucca, di bietole, di cipolle e di riso, lasagne al pesto, farinata, roast beef, salumi, porchetta, carne cruda, formaggi, caprese, pasta con salsiccia e funghi, salmone al forno...tutto innaffiato da vino abbondante e servito con un misto di apprensione, gioia e soddisfazione.
Non siamo cuochi, siamo forse (il forse è per me, per gli altri è certezza!) portati per la cucina, ma quello che sicuro non ci manca è la voglia di provarci.
Cecilia qualche settimana addietro mi aveva chiesto di trovare per lei delle frasi che sapessero di sole, campagna, amicizia e amore, mi ha domandato di scriverle e distribuirle qua e là il giorno del suo sì, cosicché gli invitati alla festa potessero leggerle, portarle a casa o lasciare a loro volta un pensiero, con l'aiuto dei tanti pennarelli colorati usati come centri tavola insieme a lanterne di carta e gerbere lunghe.
Fare questo "lavoro" per la sposa mi ha permesso di guardarmi dentro, di cercare, innanzi tutto nella memoria, qualcosa che mi facesse tornare alla felicità di un giorno grande come quello di ieri, senza retorica e con una buona dose si sincero sentimento. Poi, scrivere su pezzi di carta straccia con un pennarello bianco, appendere i fogli su spago da cucina, usare piccole mollette colorate e cercare quelle di legno per il bucato quando le prime terminavano, è stato un gioco da ragazzi!
L'effetto, già romantico quando le pagine giacevano ancora a casa mia (vedi foto), sul posto era ancora più bello, tra il verde dei prati, l'arancio dei muri, le risate della gente. Quindi, un'altra parola di questo elenco sarà, appunto, parole. Come quelle scritte sulla carta e quelle dette dagli sposi durante il taglio della torta: parole di ringraziamento, elenchi di nomi, racconti di viaggio, tutto davanti alle centinaia di frutti di bosco adagiati dalla Fra sulla crema pasticcera della torta di nozze più bella del mondo, mentre il vicino-vicino scattava milioni di foto. Accanto ai flute c'erano angurie decorate con un piccolo coltello e un'enorme pazienza, spiedini di ananas, grappoli d'uva, fragole pucciate nella cioccolata, ciotole di mescolanza e confetti bianchi e verdi. Nell'angolo del gioco, dedicato ai più piccoli (tanti!) invitati alla festa, il mio albero disegnato ad acquerello è stato ricoperto di foglie coloratissime da piccole mani intinte nei colori a dita e chissà che Cecilia e Gabriele non decideranno di appenderlo a casa loro...
Questo post rischia di diventare lunghissimo, ma non posso non parlare dei fiori, dal bouquet di tulipani arancioni, ai crochi viola che spuntavano ovunque tra l'erba chiara, dall'erica bianca a quella rosa, dalle primule gialle alle gerbere di tre colori, dai fiori di vetro bianchi ai ranuncolini selvatici così delicati...Un posto magnifico, pieno di pace, di animali, di dolcezza. Un gruppo di amici, come scrivevo all'inizio, che non hanno mai perso la calma, che si sono divertiti, che hanno gioito con gli sposi, che hanno mangiato e bevuto, parlato in genovese, imprecato contro gli asini e il loro verso, prestato coperte, fatto battute, parlato seriamente, raccontato viaggi recenti, immaginato futuri possibili.
Non resta che augurare agli sposi di incontrare spesso sulla loro strada emozioni così belle, di avere sempre il calore degli amici attorno alle loro vite, di continuare a crescere come persone singole, ma trovando rifugio nell'abbraccio della parola due.

domenica 23 settembre 2012

L'odio

Qualche tempo fa scrissi un post, anzi un elenco, di cose per me incredibilmente forti ed estremamente vicine. Sento ora il bisogno di buttare giù tutto quello che non mi piace, "che odio", senza usare un criterio o spiegare il perché.
Cucire i bottoni, i fiori dell'amaranto, il caviale, i colori fluo, l'anice, il suono delle ambulanze, le scarpe da ginnastica con la zeppa o il tacco, gli schiaffi in faccia, togliere i capelli dallo scarico, l'azzurro con l'arancio, le ostriche, i ragni, i posti stretti, le sorprese, i giudizi, andare in piscina, il telefono che squilla di notte, i consigli non richiesti, le pubbliche umiliazioni, l'heavy metal, i fiori finti, i libri sottolineati con l'evidenziatore, le agende con poco spazio per scrivere, le competizioni, sbrogliare collanine annodate, la gente che alza la voce, prendere grosse decisioni, arrivare in ritardo, la birra calda, il caffè d'orzo, i parchi giochi, i biscotti nel latte, andare dal dentista, i film dei Vanzina, i piedi con le unghie lunghe, il verso dei pappagalli, la prepotenza, gli abbandoni, i barboncini giganti, i SUV, mangiare al McDonalds, fare telefonate difficili, le bibite energetiche, andare in bicicletta, l'odore dei cipressi, il rumore del gesso sulla lavagna, mangiare con le posate di legno, litigare, fare il bagno in mare di notte, il fondotinta scuro, il vino che sa di tappo, la pizza con le verdure sotto aceto, l'arrivismo, il Neoclassico, l'intimo scuro sotto i pantaloni bianchi, l'odore dell'ammoniaca, l'acqua solforosa, lo sciroppo per lo stomaco, le mancanze di rispetto, l'arroganza, i tuoni forti, i botti di Capodanno, la cattiveria, i vespasiani, l'ipocrisia, l'ingratitudine, l'odore dei freni del treno, il purea freddo, i tatuaggi tribali, le maglie in tessuto sintetico...
Considerazione: probabilmente c'è molto altro, ma non mi viene...è stato molto più facile scrivere ciò che amo, o oggi sono particolarmente ben disposta oppure semplicemente fortunata!
(la "bendisposizione" la spiegherà il prossimo post)

lunedì 17 settembre 2012

Ecco

Ho un onore e un peso. L'onore di essere stata scelta dalla sposa per cercare tra le parole del mondo qualcosa di "giusto" per il suo giorno. Il peso di una notizia, lontana in verità, che non mi abbandona più. Questioni di vita.
E stasera, mentre leggo frasi, ritaglio pensieri, spulcio racconti, scorro favole, mangio storie, mi imbatto in questa poetessa, che sa sempre cosa dire e cosa dirmi.

La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla di vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.


(Wisława Szymborska)


Ecco la vita, ecco cosa è per me. Anche se a volte me lo dimentico.
Della stessa autrice, qui in giardino c'è: http://ilmareingiardino.blogspot.it/2012/02/un-febbraio.html

sabato 8 settembre 2012

Evocator

E' sabato sera, sono appena tornata da un matrimonio, ho ancora le unghie laccate di rosso, ma è tutto ciò che resta (a parte quei 15 chili in più che si posizioneranno sapientemente sul girovita).
Voglio scrivere questo post da qualche giorno, ma dovrei fare mille altre cose più urgenti: preparare un esame per esempio, riflettere sul preventivo dell'elettricista, cercare suggestioni per lafestadellefeste.
Però ora sono stanca, ho la pancia piena, fa caldo e ho voglia di musica, libro e lenzuola fresche. Quindi, scrivo questo e poi bon.
La settimana appena trascorsa è stata insolita: sono tornata a scuola.
Da lunedì a mercoledì ho seguito la Scuola di Robotica & Design, un'idea nata questa estate e concretizzata quasi senza accorgermene. Una bella idea però.
Con in ballo una possibile collaborazione futura mi sono buttata in questa avventura senza sapere nulla di robot, elettronica, informatica, tecnologie varie ed eventuali. Non ho il mac, non ho uno smartphone, non parlatemi di iphone, ipad, ipod, tablet, ebook e similari perché non so dire nulla e capisco ancora meno. Ma questa settimana mi sono divertita e, per la miliardesima volta negli ultimi tre anni, ho messo alla prova un pezzo di me. Educatore ambientale, animatore scientifico, barista, cameriera, aiutocuoca, imprenditrice, studentessa, giornalista, roba che alla fine non so più nemmeno chi sono, cosa mi piace davvero, dove riesco meglio, quanto posso reggere.
Ma sono fatta così, mille porte aperte, duemila ansie, tremila crisi esistenziali e tanta tanta pazienza. Innanzi tutto sono paziente con me, poi pure con gli altri non scherzo.
Comunque, bello il corso, belli i compagni, bella l'organizzazione, bravi i docenti, buono (e tanto!) il cibo, bella l'atmosfera. Primo giorno di scuola: ultima fila. Compagno di banco: il vicino-vicino. Una pacchia.
Abbiamo ascoltato, provato, sentito (cioé accolto sensazioni), riso, imprecato, acceso, spento, schiacciato, bevuto, progettato, parlato, mangiato, guardato, collegato, scritto, disegnato (tanto e compulsivamente, come al solito), riflettuto, immaginato, evocato.
Io ho evocato tantissimo. Il corso ha previsto una parte di lavoro di gruppo, in cui occorreva presentare un'"idea robotica", ovvero organizzare una possibile applicazione tecnologica, non per forza realizzabile adesso, non per forza realizzabile in futuro, ma per forza pensata insieme. Noi abbiamo inventato Evocator (figlio di Navigator, Terminator, Predator, Liquidator e compagnia cantante). Il nostro super sistema è in grado di riprodurre immagini, odori, suoni e pure sensazioni tattili, a comando. Magari mentre si legge un libro (e si vogliono vivere le pagine che ci scorrono tra le dita), magari mentre ci si rilassa in giardino (e l'odore di un fiore ci porta indietro nel tempo), magari mentre si pensa a chi non c'è più (e una musica, un profumo o un oggetto incontrato per caso ci trascinano da lui).
Ovviamente per me è stato inevitabile rotolare giù nella mia vita di prima, un continuo attacca-stacca cavi elettrici, resistenze, led, circuiti che puzzavano, un inconfondibile odore di elettronica sigillato in piccole scatole numerate, un senso di soddisfazione visto mille volte su una faccia che mi somiglia(va) un sacco.
Lo dice anche la foto no? Se si nasce da una persona che riordina(va) così i suoi transistor, come si fa a non divertirsi a un corso di robotica?

domenica 2 settembre 2012

Riposa in pace

Un invito che mi fa sorridere ogni volta e che ha sempre la stessa risposta (Tiè).
Io però in pace non riposo quasi mai. Negli anni, anzi nei decenni, il mio rapporto con il sonno è cambiato tantissimo: da piccola non dormivo e non mangiavo. Una bambina maledetta. Di notte mi alzavo, volevo uscire o giocare e una delle prime parole che dissi fu "chiavi", ovvero "Andiamo?". Poi, quando la mania di non dormire poteva essermi d'aiuto permettendomi di alzarmi presto per andare all'asilo o a scuola, stare a letto cominciò a piacermi. Come avrei preferito rimanere a casa e magari passare la mattina con il gatto a giocare sulla moquette! Invece andavo in classe, disegnavo, scrivevo, mi spingevo con gli altri bimbi, costruivo casette con i lego e fingevo di mangiare l'insalata alla mensa scavando un buco nel panino, inghiottendo la mollica e nascondendo le foglie all'interno.
Il momento peggiore era il pisolino post pranzo, sulle brandine blu accanto al pianoforte. Non volevo starci. Non avevo sonno. Volevo giocare in giardino o andare a casa per mangiare pane burro e zucchero. Guardare le altre facce addormentate, i pollici in bocca, le pipì che colavano giù dai lettini e i pupazzi che cadevano tra la polvere mi faceva sentire a disagio.
Crescendo la pisa pomeridiana è diventata un rifugio irrinunciabile. Andare a letto tardi, stare fino alle due del mattino a guardare Notte Horror con papà, che veniva subito dopo il Festivalbar e che era annunciata in uno spot pubblicitario poco prima di decretare il vincitore, mi piaceva tantissimo. Andavo in bagno a lavarmi, prendevo il gelato nel freezer e mi rannicchiavo sul divano letto, terrorizzata ancora prima che il film iniziasse. Poi papà si addormentava e io non avevo più il coraggio di andare a letto attraversando da sola il salone buio. Così restavo lì.
Il giorno dopo, andare al mare la mattina presto e ingoiare quintali di insalata di riso a pranzo, significava per forza dormire nel primo pomeriggio. Che meraviglia le lenzuola fresche, le voci lontane dei bagnanti, il vento tra le foglie e il rumore ovattato dei piatti in cucina...
Durante gli anni del liceo la sveglia presto, i corsi di recupero alle due e le serata in Via Longo non hanno aiutato la riconciliazione tra me e Morfeo, ma sono stati anni meravigliosi e per dormire ci sarebbe stato tempo dopo.
Il tempo per la nanna è infatti arrivato con l'università, a parte le lezioni di latino alle 8 (siamo pazzi???), gli altri corsi iniziavano tardi e io potevo dormire di più. Al pomeriggio riuscivo persino a fare la pennica al Porto Antico, fingendo di leggere il giornale e lasciando invece cadere in avanti la testa, come i vecchi alla bocciofila. La sera da superfidanzata non terminava mai troppo tardi e quando nel week end ci si concedeva un Old da Wincy c'era sempre il pomeriggio del sabato da trascorrere sul divano a pelle d'orso. Peccato per le difficoltà logistiche di avere un ciclo sonno-veglia opposto al proprio innamorato, lui stramazzava sul tappeto all'inizio della sera e io tentavo di trascinarlo a letto alle tre del mattino, per essere a mia volta svegliata alle 7 con un "Andiamo? è tardi!". Bruttissimi gli anni in cui il sonno era diventato un rifugio, giorno o notte che fosse ero in grado di dormire per ore e ore di fila, senza quasi ricordare i miei sogni, con la voglia di ricominciare a dormire appena aprivo gli occhi. Adesso è la notte il momento peggiore, non faccio mai troppo tardi ma non riesco a garantirmi un sufficiente tempo di sonno, mi sveglio tre o quattro volte e alla mattina è come se mi fossi assopita sul treno. In realtà sui mezzi dormo ancora oggi come un ghiro, rischiando come al solito di perdere la stazione di discesa o di farmi rubare anche le mutande. Il pomeriggio è ormai più facile che vada a camminare piuttosto che a dormire, anche senza caffè tiro lungo fino a sera. Il mio parco sogni, infine, continua ad essere assurdo, variegato, divertente, terrorizzante al limite del trauma mentale, complicato, eccitante e chi più ne ha più ne metta. Per fortuna è molto raro che al mattino non ricordi le mie avventure.
Ora sono quasi le due, sono mediamente lucida e ho voglia di vento, perciò mi berrò 'na tazzulella 'e cafè e andrò a fare due passi. Cià.