sabato 24 novembre 2012

Basta

E' sabato, sono tornata a casa.
Quale casa?
Quella di sempre, fatta di luce, fusa, peperoni arrostiti, primule e legna che arde.
Dopo una settimana piena sull'Albero della Coccagna avevo bisogno di me e delle mie radici. Per iniziare con calma, senza strappi, per mantenere uno spaghetto attaccato all'infanzia, per calpestare i miei sentieri che per anni sono stati un labirinto e un rifugio.
Scrivo con Agata che mi trotterella intorno e si struscia sulle caviglie, mentre mamma cucina una montagna di verdure e i miei pensieri scorrono veloci. Devo comprare ancora un po' di cose per la casa, recuperare vestiti e, soprattutto, lavorare.
Consegne enormi per il dottorato tra soli due giorni, altre consegne ancora più enormi tra una settimana, un esame da preparare in pochissimo tempo, un impegno lavorativo che non riesco ad incastrare, una pesantezza gigante sul cuore.
Poi però ci sono gli amici che se ne accorgono, che vedono il tuo stare un po' così e ti chiedono "che passa", c'è la mamma che prova ad organizzarti la vita per toglierti un peso, c'è il silenzio della casa nuova e la cassetta degli attrezzi che ti manda lo zio per essere preparata a tutto.
Ci sono i pomeriggi a letto, a guardare il soffitto e a chiedere di cosa sarà fatta la trave gigante che attraversa la stanza? Castagno, pare.
Ci sono le serate al Circolo, tutta di verde vestita, dove una voce commuove, gli abbracci degli amici riscaldano, le visite innamorano e la zuppa di zucca riempie lo stomaco.
Ci sono i racconti di viaggio e le riviste di design per la casa da sfogliare sul lettone con mamma, gli elenchi delle cose da comprare e la musica che suona ininterrotta.
Tutto quello che avevo immaginato, o quasi, ora è qui. Devo solo convincermi che basta, che nonostante gli incubi di questa notte, fatti di paura, solitudine e violenza, le cose andranno bene. La palestra funziona, basta iscriversi. La relazione è quasi finita, basta inviarla. Il lavoro è quasi concluso, basta chiuderlo. Le amicizie sono forti, basta frequentarle. L'amore è profondo, basta crederci. La casa è accogliente, basta viverci.

P.S. Per la foto, grazie a Balletti, uno dei miei nuovi vicini di casa...

lunedì 19 novembre 2012

Accoglienza

Post breve, troppi impegni e scadenze da rispettare, poco tempo e nessuna connessione internet a casa.
Cosa significa la parola Accoglienza?
Da uno dei tanti dizionari on line: Azione e modo dell'accogliere, del ricevere qualcuno.
Questo è quello che vorrei per la mia casa. Che fosse un luogo dove tutti si sentano accolti, dove gli spazi siano condivisi ma anche privati, dove chi desidera tranquillità possa trovare un divano comodo e un dondolo che lo culli, dove chi ha fame possa sedersi in cucina e guardarsi attorno, tra colori, piante e tazze che fumano.
Vorrei che la mia camera da letto fosse mia, l'indispensabile tana per curare i miei momenti difficili, quando scostare il piumone sembra impossibile.
Vorrei stare sola. Con me.
Per le stesse ragioni che mi hanno spinto a fare il trasloco da sola, svuotare le scatole da sola, scegliere i colori, i mobili, i piatti e le stoffe da sola.
Perché pochi anni fa, quando uscire dal pantano pareva un'impresa disperata, non avrei mai creduto di farcela. Perché grazie a mia mamma, alla sua generosità, ma anche grazie al mio coraggio e alla voglia di provare a misurarmi con me e con la mia incapacità a tenere in piedi relazioni durature o convenzionali, ho deciso di andare via e di farlo da sola. Gondendo dei privilegi dell'indipendenza certo, ma anche ritrovandomi davanti allo specchio con la voglia di parlare a qualcuno che ascolti cosa sento, infilando le chiavi nella toppa con la consapevolezza che la casa sarà fredda come l'ho lasciata alla mattina quando sono uscita e che la cena sarà ancora da preparare. In compenso però avrò più tempo per me, che significherà dare spazio ai miei bisogni e trovare carburante per i miei affetti.
Iniziando da un pezzo di legno chiaro e profumato posato sul comodino...

P.S. Nella foto un'immagine all'ESEM, un brandello dell'esame di dottorato preparato durante il Festival e sostenuto pochi giorni fa, con grande soddisfazione.


sabato 10 novembre 2012

Alla fine ho smesso di sapere cosa stessi cercando così a lungo

Le cose non accadono mai per caso, o almeno così si dice.
Qualche giorno fa il mio professore di italiano del liceo ha segnalato questa poesia di Wislawa Szymborska, che, inutile dirlo, mi piace molto.
Ma non è solo una questione di gusti letterari ovviamente, qui si tratta di sentimenti spostati, eccitati, svegliati, non a caso il titolo è "Nel sonno".
In questo periodo di cambiamenti, tra scatoloni, libri ingialliti, pezzi di me che si fanno lontani non appena li accarezzo, le parole di Wislawa sembrano fatte apposta.
Eccomi:
"Rovistavo in armadi, scatole e cassetti, inutilmente pieni di cose senza senso"
"Scuotevo fuori dalle tasche lettere secche e foglie scritte non a me"
"Tiravo fuori dalle mie valigie gli anni e i viaggi compiuti."
"Correvo trafelata per ansie e stanze mie e non mie"
"Mi ingarbugliavo in cespugli di spine e congetture"
"Spazzavo via l’aria e l’erba dell’infanzia"

Eccola:

Nel sonno

Ho sognato che cercavo una cosa,
nascosta chissà dove oppure persa
sotto il letto o le scale,
all’indirizzo vecchio.

Rovistavo in armadi, scatole e cassetti,
inutilmente pieni di cose senza senso.

Tiravo fuori dalle mie valigie
gli anni e i viaggi compiuti.

Scuotevo fuori dalle tasche
lettere secche e foglie scritte non a me.

Correvo trafelata
per ansie e stanze
mie e non mie.

Mi impantanavo in gallerie
di neve e nell’oblio.
Mi ingarbugliavo in cespugli di spine
e congetture.

Spazzavo via l’aria
e l’erba dell’infanzia.

Cercavo di fare in tempo
prima del crepuscolo del secolo trascorso,
dell’ora fatale e del silenzio.

Alla fine ho smesso di sapere
cosa stessi cercando così a lungo.

Al risveglio
ho guardato l’orologio.
Il sogno era durato due minuti e mezzo.

Ecco a che trucchi è costretto il tempo
dacché si imbatte
nelle teste addormentate.

martedì 6 novembre 2012

Germogli

E' martedì e fuori piove con il sole.
Io sto malissimo, ricomincio solo ora a respirare un po', dopo 24 ore di apnea e dolore alla cassa toracica, come se un grosso fauno stesse lì seduto a osservarmi. Come in L'Incubo, di Füssli, uno dei miei quadri preferiti.
Le motivazioni non le conosco, stanchezza post Festival? Ansia da gestione trasloco e ultimi, insapettati, costosi e problematici lavori all'albero della Coccagna? Sensazione di inadeguatezza diffusa? Paura del futuro incerto sotto ogni punto di vista? Freddo boia beccato in casa, in barca, per strada? Azione massacrante del divano letto sulla mia schiena già decisamente massacrata? Agitazione per l'esame di domani?
Non lo so. In ogni caso sto male, non ho appetito e ho una faccia che sembra mi abbiano pestato senza pietà.
Questo è il primo post del dopo Festival, quello in cui dovrei raccontare cosa sono stati gli ultimi dieci giorni. Visto che ho appena finito di correggere una presentazione power point di 52 slides, visto che mi impegnerà tutto il pomeriggio, tutta la sera e tutta la mattina di domani nelle varie operazioni di rifinitura, esposizione e ricerca di definizioni improbabili, visto che sono stanca e poco concentrata, visto tutto questo userò uno dei migliori alleati per descrivere il mio Festival della Scienza 2012: l'elenco.
Spazio per le parole, che siano sensazioni, immagini, colori, odori, emozioni, volti, rumori, sguardi. Lascio scorrere le dita e Crystal Winter di Ferreira, con dolcezza e un timido tentativo di ammorbidire i miei muscoli accartocciati.
il legno del Maso, le acciughe a colazione, le macchie d'olio a pelo d'acqua, il trapano dentro i miei muri, le lacrime di fatica, le lampadine a basso consumo, le eliche nere di Jonathan, i libri finiti e cominciati, il cioccolato africano quello kinder quello caldo e quello dei pasticcini, i treni per tornare nel giardino incantato, il verde della mia felpa e dei tubi del robot, lo spirografo con la sua lingua, il vento forte che stanca le ossa, l'ombrello rosa, le foglie di castagno e quelle di rovere, la panna McKenzie, la musica a casa al circolo in barca al conte e alla festa, lo jedi che racconta il mare, la pasta al sugo di Gai, l' "i dont' care i don't care i don't care" di Edu, la pioggia forte e fortissima, il regalo per il vicino-vicino, gli amici che sono il tuo specchio mentre cantano con la mente e con il corpo, la cattiveria che arriva quando provi a riposare, la notte difficile, il freddo terribile, lo specchio nuovo per il mio bagno, le righe sulle maglie le felpe e le calze, gli etruschi che non so, i cinghiali spaventati, il dolore della paura, il profumo del parcheggio, il minestrone con il pesto, le cartoline per il don, la doccia calda di Nessie, i diciotto anni a colori, le fotografie con gli animatori, le telefonate tra un gruppo e l'altro, la focaccia sulla chiatta, 587 in entrata e in uscita, il ciclista riparatore che arriva all'improvviso, le scale lunghe in mezzo ai vicoli, le voci belle intorno a me, il riconoscere la purezza di uno sguardo, il "mazinga zetto" di un bimbo piccolo, la curiosità nelle mani alzate, il camminare tra le strade della città e tra i sentieri della campagna, gli stivali da pioggia, la sorpresa negli occhi dei bambini, le letture alla luce della piantana nuova, il dondolio della barca, il sale nel naso e sulle labbra, la lavanda sul pontile, il rimorchiatore arancione, i cefali coraggiosi, la folla davanti all'Acquario, le parole di ogni giorno, il giallo della mia sciarpa e del cellulare nuovo, le gestualità che spiegano più di mille parole, i "per così" di Lorenzo, lo scheletro di Daniele, lo zaino fatto e disfatto mille volte e quello al riparo dietro al bancone, le finestre aperte di Stradone S. Agostino, il sax di Giancarlo, i silenzi pieni di parole, le visite che aspetti con gioia, la sete di notte, il vino buono e quello cattivo, lo scrivere all'ultimo minuto, l'inadeguatezza che non mi lascia mai, l'acqua del porto e quella nei bicchieri di plastica di mano in mano, il karkadè rosso scuro, il galeone alla mia sinistra la mattina presto, gli occhi grandi e i sorrisi sdentati, il bianco del primo appuntamento di Gai e Nicoletta, i pomeriggi con mamma, il casco di Francesco, il montgomery e i mille alamari di ogni sera, le domande dei grandi, il sorriso inaspettato e luminoso di Giorgia, i ragazzi di colore con i loro braccialetti, la spremuta di posidonia, gli occhioni liquidi di Federica, i saluti piccoli del pubblico, la ricerca del cibo, la simbiosi dell'anemone, la fila di bombole gialle, la vela della Scuola che abbiamo odiato tutti, la coda in sopraelevata, l'ikea nei turni liberi, i compleanni dentro al Festival, la Pyro perfetta, il N°1 bar ufficiale, il germoglio segnalibro: quello della foto, regalo inaspettato e dolce chiusura per questo mio Festival 2012.
Al prossimo anno.