martedì 8 gennaio 2013

Dubbio. Ripetere

L'altro giorno ho sentito una mia amica, era disperata.
Aveva ritirato delle analisi del sangue, fatte di routine a causa del suo lavoro, in cui veniva fuori un valore dubbio a proposito del virus dell'Epatite C. Non proprio una bella cosa.
Non risultava positiva, ma nemmeno negativa, sul referto c'era scritto "DUBBIO. RIPETERE". Naturalmente, nonostante tutti le dicessero di stare tranquilla non essendo un soggetto a rischio, vederci chiaro era d'obbligo.
Era stata dal dentista di recente? Aveva affrontato grossi interventi chirurgici? Subito trasfusioni? Incontrato scambi di sangue? Non che lei ricordasse.
Le poche cartelle cliniche che possedeva riportavano sempre un esito negativo accanto alle tre maledettissime lettere HCV. Cosa poteva essere successo?
Le ipotesi erano mille, il medico dell'ospedale propendeva per l'incompatibilità tra sangue e reagenti e le aveva rifatto un prelievo il cui esito sarebbe arrivato dopo almeno una settimana. Il medico di famiglia invece sosteneva che il virus malefico che l'anno prima le aveva colpito i muscoli del collo avesse favorito una risposta incrociata e stimolato anticorpi ora conteggiati dalle analisi.
L'unica soluzione era rifare il prelievo in un nuovo laboratorio, mettersi l'animo in pace e sperare. Così fece, dopo un tranquillo week end di paura, notti insonni, tentativi di ricostruire scene e momenti, domande, risposte, telefonate, pianti e digiuni, andò di nuovo in ospedale, si mise in coda e aspettò il suo turno in silenzio.
Per non pensare a niente, visto che di studiare non se ne parlava proprio, rimediava all'ansia correndo la sera e fissando le travi sul soffitto.
Improvvisamente ogni altra preoccupazione sembrava essere superflua, quello che fino alla settimana prima l'avrebbe agitata ora non le faceva alcun effetto.
Le feste erano finite, un nuovo anno era iniziato e lei era piombata in un inferno.
E pensare che, come me, lei odia le attese, quelle che non puoi fare nulla se non aspettare, quelle che ti rosicchiano i pensieri anche quando cerchi di leggere notizie demenziali o sfogli riviste di design casalingo.
Alla fine, con il modulo di ritiro in mano, morta di paura, la mia amica è andata a prendere i risultati: Negativo. Non c'era il virus, gli anticorpi erano non reattivi e i dubbi si sono impalliditi fino a sparire, in un attimo.
Per la prima volta, nonostante ne avesse passate tante, si era fermata a riflettere su cosa le rendesse così insopportabile l'idea di aver contratto una malattia, probabilmente per un errore di altri, che in realtà è più diffusa di quanto si immagini. La risposta l'aveva trovata subito, analizzando i sentimenti che provava. Certo era triste e sicuramente era spaventata, ma il sentimento padrone questa volta era la rabbia. Perché lei che sta attenta, che non rischia mai, che cura la sua salute da sempre nonostante ne capitino di tutti i colori (o forse proprio per quello), doveva affrontare una malattia, l'ennesima, che per di più si portava con sé una componente antisociale non proprio trascurabile?
Lei che sta imparando a badare a sé, volendosi bene, pensando al suo futuro, al suo amore, alla sua vita, rischiava di perdere l'equilibrio, quello vero, in un secondo.
Per fortuna non è andata così, l'ho sentita stasera, è tutto il giorno che gira con un sorrisone stampato in faccia, che riordina priorità, che lascia scorrere il tempo, fa shopping, chiacchiera, studia, prende aperitivi con gli amici e scrive.

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