sabato 31 agosto 2013

Il vento del nord

Ultimo giorno di agosto, tramontana persa, l'estate sta finendo ed è proprio vero che un anno se ne va e che sto diventando grande, a differenza della canzone però io sono contenta che stia succedendo, era pure l'ora.
Non che sia mai stata un'immatura, anzi, penso di aver dimostrato (mentalmente oltre che fisicamente) più anni di quelli che ho sin da quando ero piccola, sempre molto giudiziosa, obbediente, razionale, affidabile...
In questo momento della mia vita però sto crescendo sotto nuovi aspetti, in particolare sotto quelli sentimentali, misurandomi con emozioni, sensazioni, paure e fantasie che non ricordo di aver mai provato.
Mi ascolto meno del solito, nel senso che agisco di più seguendo l'istinto, lasciandomi trasportare da quello che sento e da quello che succede, senza per forza cercare di essere perfetta e di controllare tutto.
La mia attitudine all'analisi patologica di ogni male e di ogni difficoltà la sto ampiamente sfogando nel secondo ambito in cui sono maestra della "sega mentale": la salute. Ma questa è un'altra, noiosissima e monotona storia.
Domani, nel frattempo, me ne vado a Pollenzo, a seguire una Scuola di Comunicazione della Scienza che si preannuncia interessante, dove spero di riuscire a coltivare un po' delle mie passioni e delle mie capacità, decisamente troppo soffocate dalla routine e dalla poca fiducia in me stessa.
Quindi, mentre riordino le idee, la cucina e la valigia contemporaneamente, ripenso sull'ultima mail di mamma, ricca di spunti e di affetto come sempre. Questa volta i protagonisti sono amore, gioia e dolore, tre fratelli siamesi direi. Qui sotto, per chiudere l'ultimo post pre partenza (nel prossimo spero di riuscire a raccontare questa nuova seppur breve esperienza alla porte), ecco un pezzo del messaggio che ho ricevuto:
Quando l'amore vi chiama seguitelo. Anche se le sue vie sono dure e scoscese. E quando le sue ali vi avvolgono, affidatevi a lui. Anche se la sua lama nascosta tra le piume potrebbe ferirvi. E quando vi parla, abbiate fiducia in lui. Anche se la sua voce può infrangere i vostri sogni come il vento del nord devasta un giardino. Perché l'amore come vi incorona, allo stesso modo può crocifiggervi. E come vi fa fiorire, allo stesso modo vi recide. Allo stesso modo in cui ascende alle vostre sommità e accarezza i vostri rami più teneri che fremono nel sole, così può scendere fino alle vostre radici e scuoterle fin dove si aggrappano alla terra.
Come covoni di grano vi raccoglie intorno a sè.
Vi batte fino a spogliarvi.
Vi setaccia per liberarvi dai vostri gusci.
Vi macina fino a ridurvi in farina.
Vi impasta rendendovi malleabili.
Poi vi affida alla sua sacra fiamma, per rendervi pane sacro per il sacro banchetto di Dio.
Tutto questo vi farà l'amore perché conosciate i segreti del vostro cuore, e perché in quella conoscenza diveniate un frammento del cuore della vita.
Ma se nella vostra paura dell'amore cercherete solo il piacere e la pace, allora meglio farete a coprire la vostra nudità e ad abbandonare l'aia dell'amore per il mondo senza stagioni dove potrete ridere, ma non tutte le vostre risate, e piangere, ma non tutte le vostre lacrime.
L'amore non dà nulla se non se stesso, e non prende che da se stesso.
L'amore non possiede, né può essere posseduto. Perché l'amore basta all'amore. E non potete pensare di comandare il cammino dell'amore: se vi trova degni, è lui a dirigere il vostro cammino. L'amore non ha altro desiderio che realizzare se stesso.

Da Il Profeta di Kahlil Gibran.

giovedì 29 agosto 2013

Quanta bellezza...

Quanta bellezza c'è in una raganella minuscola, verde smeraldo, appesa sulla tua felpa fuxia, in una sera di fine estate?
Tanta, tantissima bellezza...se poi accanto a te ci sono una famiglia appena conosciuta e bella da matti pure lei, i vicini matematici-fotografi-pasticceri, la sposina dell'anno passato, il vicino-vicino e Andrea con la camicia a quadri, è tutto ancora più bello.
E se poi sui prati attorno ad una tavola apparecchiata sull'erba ci sono due asini freschi di parrucchiere, una mucca nera lenta e silenziosa, un coniglio nero pure lui in compagnia di tre merli (inutile dirlo, neri anche loro), caprette e galline invisibili, zucche arancioni da fiaba, albicocchi piccolini, ciliegi ricoperti di licheni d'argento, rami di kiwi, piante sconosciute, muretti a secco, piscine blu, amache appese tra gli alberi da frutto...è tutto, inevitabilmente, più bello.
E sono belli i cuochi orgogliosi, la carne cotta sulla pietra, la pasta al pesto che non puoi mangiare, le verdure tagliate sottili e grigliate al buio, il vino rosso, i treni di Bibi, la nanna di Leo, i racconti della sposa sullo sposo lontano, le battute del vicino-vicino, la prontezza del vicino-matematico-fotografo che scatta la foto alla ranocchia appena atterrata sulla tua giacca, la torta intollerante e meravigliosa della vicina-matematica-pasticcera, l'arrampicata estemporanea sul muretto del ragazzo con gli occhi a fessura seduto davanti a te, l'amore di mamma e papà che riempie la notte, le stelle che brillano perché qui ci sono poche luci, i fuochi d'artificio che scoppiano nel paese in festa poco più su.
E tutta questa bellezza ti fa bene, così bene che nonostante la mega mangiata il tuo stomaco riposa tranquillo e i tuoi sonni arrivano leggeri. Perché la bellezza salva sempre, dalle paure più grosse tornate stasera al tramonto e dure ad andarsene anche ora mentre scrivi, dai dubbi sulle tue capacità e possibilità lavorative, dai pensieri sulla tua famiglia ormai così scompaginata.
L'ultimo album dei The National (dal nefasto titolo Truble will find me, a riprova del fatto che preferisco la musica triste, per chi ancora non lo avesse capito e per chi ama ricordarmelo!) è bellezza e pure le zampe di Agata nascosta sotto un auto lo sono, è bellezza la spiaggia quasi vuota di questa sera, la bici rossa è bellezza e la mia calda felpa verde è bellezza pure lei.
C'è stato un tempo in cui le serate come ieri erano all'ordine del giorno? A me sembra di sì ma io rimuovo tutto, quello che mi fa male e spesso anche quello che mi fa bene e quindi, forse per fortuna, a volte mi sembra di vivere cose nuove e inaspettate, come se fosse la prima volta. Pensare ad un laboratorio dall'allestimento alla didattica come se non lo avessi mai fatto, mettere i piedi a bagno nell'acqua limpidissima come se avessi abitato su un monte fino a ieri sera, leggere quello che sentono le persone a te vicine e stupirsi anche degli aspetti più semplici, guardare negli stessi occhi come se non li avessi mai visti prima.
Quanta bellezza c'è in tutto questo?

P.S. La foto, ovviamente, è di Balletti.

domenica 25 agosto 2013

What does your joy look like today?

Lo spunto per scrivere questo post, inaspettato in verità, è la frase che ho usato come titolo.
Oggi sono felice, ultimamente mi capita sempre più spesso, ma a volte non so dire perché, non è sempre chiaro da dove arrivi la gioia, cosa mi spinga al sorriso, cosa vedano i miei occhi per inumidirsi contenti.
Quindi, quanto ho letto quella domanda lassù, mi sono fermata a riflettere ed è stato facilissimo risalire a tutti i momenti che mi hanno donato un po' di felicità. Semplice, piccola, come piace a me.
E qui, mi sa, ci scappa un elenco:
- La crema al cacao che ho spalmato sulle gallette stamattina, per tramortire l'ennesimo buscofen con una colata di dolcezza buonissima
- La colazione sulla tovaglietta rosa, quella con mille piccole mele
- Il sentiero nuovo, dove mettere un passo davanti all'altro e guardare quelli davanti al mio
- La mantide religiosa, verde pistacchio, sorpresa sulla terra rossa come se avesse sbagliato qualcosa nel suo processo di mimetismo
- I rami d'argento delle eriche bruciate anni fa, mescolati ai nuovi ciuffi verdi, alle pietre azzurre e alla terra color ruggine
- Il biancone che vola basso a cercare la merenda
- I biscotti al cacao che è come masticare un batuffolo di cotone mangiati davanti al temporale in arrivo
- Il temporale arrivato
- I tre daini in fuga sul pendio
- La macchina azzurra parcheggiata laggiù, sulla strada in mezzo all'erba verde
- Il gattino piccolo trovato ieri e accoccolato sulle gambe del vicino
- Le melanzane grigliate con l'olio, il limone, il pepe e i sorrisi di mamma per cena
- Le tre vecchie puntate di Grey's Anatomy che danno in TV, una dopo l'altra e che mi riportano ad accendere quel coso dopo mesi
- La scoperta di Mood Indigo, il prossimo film di Gondry, in uscita tra pochissimo, che non vedo l'ora di vedere
- La colonna sonora di oggi e di ieri che non smetterei mai di ascoltare, in questa versione: http://www.youtube.com/watch?v=HlFO0-IwKa4
- L'Elogio ai piedi di Erri, azzeccato come sempre:
Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.

(Erri De Luca)
- La camomilla calda che sto bevendo ora e che sembra alleviare un poco il dolore al collo: la felpa verde arrotolata come una sciarpa, nel meraviglioso vento di oggi, non è bastata.
Buonanotte...

mercoledì 21 agosto 2013

Il Regno dei Ragni

Post confuso, lo so già. Perché sono tante le cose da dire, le cose che sto facendo, le cose che sto superando, le cose che sto capendo, però ho poca voglia stranamente di condividere col mondo.
Ieri leggendo l'ennesimo giallo estivo (come previsto la Vargas ha preso il sopravvento sul noir scandinavian style) ho scovato una frase che mi si addice molto: "Non ho trovato niente da pensare"...ecco, è proprio così: pur essendo un periodo estremamente denso di soluzioni e percorsi fertili, non ho pensieri chiari, non ho visioni nitide, non ho punti saldi a cui aggrapparmi. Ieri sera, parlando con Andrea, mi è uscita spontanea la metafora del collirio, che mi permette di vedere limpide e grandi le cose che ho attorno, le stesse su cui magari sono anni che inciampo senza quasi nemmeno rendermene conto. Per ora, il limite di tutta la faccenda, sta nel fatto che gli effetti prodigiosi di questa medicina per gli occhi (e per l'anima) non durino a lungo e quindi, a momenti di emozionante chiarezza a livelli di serendipity mentale, seguono blocchi e crolli confusi in cui tutto mi sembra di nuovo aggrovigliato e complicato.
Qualche giorno fa ho fatto un giro a piedi, da casa di mamma a "casa di papà" passando per un vecchio sentiero sgangherato, tra l'erba alta, gli strapiombi sul mare, le pietre rotolate, i rami ritorti, gli alberi fitti, gli insetti stecco, i rumori degli uccelli, i fiori di campo e mille ragnatele appese in mezzo alla via. Alla decima tela in faccia ho preso un bastoncino e mi sono fatta strada, attraversando "Il Regno dei Ragni" sotto il sole, con il passo svelto e il cuore un po' agitato.
Qualche tuono, il mare scuro, la luce argentata che tagliava le nuvole e si rifletteva sull'acqua, la voglia di dire a tutto l'universo quanto fosse per me importante, in quel momento, fare quel cammino. La sosta al cimitero è stata una sorpresa, un grande passo avanti rispetto a tutte le volte precedenti fatte di spolverate veloci, sistemazione meccanica dei fiori, carezzina svelta alla foto e tanti saluti. Oltre i cipressi, con i pensieri distesi e positivi, le cuffie nelle orecchie e la falcata più veloce di sempre, sono scesa sopra al mare e sono corsa a casa dalle mie abitudini, dalla gatta, dai libri, dal sole, dai fiori e dal cibo-medicina che mi aiuta in questo periodo complicato.
Inutile dire che parlare, guardare, accettare (meglio accogliere), lasciare andare e sorridere sono tutti verbi più utili di qualunque pastiglia o visita medica per superare un momento in cui il mio corpo (come sempre più sincero della mia mente) mi ha detto "Non ce la faccio più". E al di là delle intolleranze alimentari, al di là della sospetta celiachia, una luna piena, una scatola di giochi per bambini da sistemare, una giornata alle terme con mamma e una cena con l'amica di sempre pronta ad una vita nuova, sono tutte cose per cui vale la pena continuare a camminare, con il bastoncino in mano, nel "Regno dei Ragni".

P.S. Canzone di sottofondo, anche se c'entra poco con il post, "Satellite" di Colapesce e Meg...perché sono due estati almeno che la ascolto senza sosta.

domenica 11 agosto 2013

Storia di Alì

Alì è un piccione, ma non un piccione qualsiasi: Alì è un piccione viaggiatore.
All'inizio dell'estate il suo proprietario lo ha regalato ad un amico, un colombofilo come lui che partecipa alle gare da poco e sta cercando di incrementare la sua piccola colombaia.
All'inizio di questa storia Alì non si chiama Alì, ha un altro nome che nessuno sa, forse Alì è addirittura una femmina, la sua testina aggraziata e lo sguardo delicato si addicono di più a una giovane colomba, in effetti.
Il giorno del viaggio Alì non è in forma, ha un sacco di pensieri e non si sente pronto, deve volare fino alla Francia ma non ha capito dove, teme il vento, teme il mare, teme gli altri uccelli, teme i colombi come lui che lo attendono all'arrivo.
Alì parte stanco e si scoraggia quasi subito, prova a farsi forza, a stendere bene le ali, a bilanciarsi con la coda, a sgombrare la testa dalle preoccupazioni: "Tieni duro", pensa, "Arriverai prima di quando te lo aspetti, quante volte pensavi di non farcela e invece la meta era già così vicina, gli altri piccioni così simpatici, l'acqua così fresca e le granaglie così buone!". Ma l'istinto di Alì ha ragione, non è un bel giorno per volare, il vento che gira all'improvviso, la stanchezza già troppo pesante ancora prima di partire, le nuvole basse: "Non ce la faccio", pensa, "Devo fermarmi, o quando lo farò sarà troppo tardi e finirò dritto nella bocca di un gatto o sotto le ruote di un'auto sulla camionale".
Attorno a lui solo tetti, antenne, pali della luce, terrazzi, ringhiere e corde del bucato, le finestre sono tutte chiuse, alcune hanno addirittura le imposte serrate, ma è agosto e le città si svuotano per le ferie. Deve resistere ancora un poco Alì, deve cercare di raggiungere la campagna e magari, se è fortunato, riesce ad incontrare una colombaia dove fermarsi qualche ora, qualche giorno. Ricorda di un suo compagno l'anno prima, che in occasione di una gara era stato ritrovato una settimana dopo da una famiglia gentile, era stato rifocillato, fatto visitare addirittura da un dottore, fino a che il loro padrone aveva preso la jeep, caricato la gabbia sul retro ed era andato a riprenderlo, sbuffando e lamentandosi più per la brutta figura fatta con i colleghi in gara che per per il disturbo.
Mentre si perde tra i pensieri e si lascia un poco trasportare dal vento Alì entra in un bosco, i rami sono fitti, non si vede quasi nulla e volare diventa difficile. Prova a scendere, saltella qua e là, becca qualche seme posato sulla terra calda, sale su un tronco abbattuto e si riposa..."Solo un poco" si dice, "Solo il tempo di ritrovare le forze".
Quando si sveglia è quasi buio, occorre rimettersi subito in viaggio se si vuole raggiungere un villaggio dove trovare riparo. Saldo sulle zampe inanellate Alì spicca il volo, attraversa il fogliame estivo, sente un ramo graffiargli forte l'ala sinistra, ma stringe il becco ed esce dal bosco, c'è un po' di vento, a favore finalmente, e seguire l'aria è facile come fare una discesa sullo scivolo. Dopo una mezz'ora di volo tranquillo, dietro una collina, in fondo alla gola, Alì vede delle luci: "Che ore saranno?", forse le nove di sera, forse ancora più tardi, il cielo è ancora chiaro, ma i lampioni illuminano già le strette strade del borgo di mare.
Alì si sente sollevato: un paese di campagna, con poche case, tanto verde, qualche orto e sicuramente qualcuno disposto a lasciarlo riposare, magari anche ad accudirlo, a parlargli, a controllargli quella ferita sull'ala che comincia a fargli davvero male.
Scende in picchiata verso le case e si ferma su un grande tetto rosso, lì le finestre sono tutte chiuse, c'è un giardino curato, qualche albero tagliato da poco e tanto prezioso silenzio. Il piccolo palazzo di fronte, invece, è decisamente abitato, tre giardini vivi, con il bucato che sbatte al vento della sera, i gatti che sonnecchiano sui tavoli di plastica, una signora che chiama il marito nell'orto. E poi, le finestre sono quasi tutte illuminate.
Alì riflette, non sa cosa sia giusto fare, è la prima volta che si perde, è la prima volta che ha bisogno di aiuto. Dopo qualche minuto prende coraggio, apre le ali, prova a stirare con cautela quella sinistra e punta la finestra più in alto, da cui proviene una fioca luce blu, intermittente, delicata, deve essere un televisore acceso.
Scende piano sul davanzale, cercando di non fare rumore, con discrezione sbircia dentro e sul divano vede una signora anziana, che guarda le immagini scorrere sullo schermo ma sembra assorta in altri pensieri, più lontani e più importanti di quello sceneggiato estivo. Incuriosito e ormai carico di coraggio Alì decide di spostarsi sulla finestra accanto, dall'appartamento escono voci piccole, chiacchiere adulte, musiche in rima e battiti di mani. Appena le sue zampe toccano l'ardesia ancora tiepida quattro occhi lo osservano sbigottiti: "Nonna nonna! Guarda!". Due bimbi seduti sulla medesima poltrona lo stanno indicando tutti eccitati, una signora si avvicina piano piano alla finestra mentre un uomo, assorto nella lettura del giornale, alza appena lo sguardo dal quotidiano disteso sul tavolo.
Sono tutti indaffarati là dentro, chi prova a chiamarlo con il verso che si usa per attirare i gatti, chi si alza sulla punta dei piedi per guardarlo meglio, chi ipotizza ferite e malattie osservando la sua ala malconcia. Dopo poco la signora sparisce e ritorna accompagnata da altre due donne, una invoca il ragù di piccione guardandolo però con dolcezza tra i riccioli tagliati corti, l'altra si confronta con la padrona di casa sul significato di piccione viaggiatore, facendolo sentire importante e prezioso.
E' ormai notte, c'è troppo interesse in quel posto, rimanere lì significa rischiare di farsi prendere, la finestra dell'anziana signora sembra essere più tranquilla: Alì spicca il volo e atterra poco più in là. Ora la donna è in piedi, la televisione è spenta, lentamente cammina in soggiorno tenendo una mano sulla schiena del divanno, come se fosse una robusta ringhiera immaginaria. Improvvisamente lo vede e, con grande stupore del colombo, gli parla. Lo ringrazia di essere venuto, si rivolge a qualcuno che però in casa Alì non vede, sembra commuoversi perfino e, sempre lentamente, si allontana verso una stanza buia, lasciandolo tranquillo sul davanzale. Prima di sparire dietro a una porta semichiusa, una mano delicata spegne l'ultima luce.
Cicale, uccelli, rumore di auto in manovra, urla lontane di giovani al mare, rombi di motoseghe in azione, persiane che si aprono...Alì tira fuori il becco dalle piume del dorso, spalanca gli occhi e, d'istinto, spicca il volo: "Che ore sono?", "Dove mi trovo?". In pochi secondi atterra pesante sul tetto rosso, il primo incontrato al suo arrivo e si guarda intorno, improvvisamente ricorda la luce blu del televisore, le piccole dita di bimbo che lo puntano, gli occhi benevoli della ragazza con i capelli corti.
L'ala sinistra è ancora dolorante, aprirla e chiuderla con calma gli dà un po' di sollievo, ha fame e sete, deve capire cosa ha intorno e dove può recuperare del cibo. Spicca il volo nel pieno sole del mattino, supera la casa color salmone, si avvicina a quella gialla e si posa su un filo elettrico: campi coltivati, orti abbandonati, prati, terrazzi, boschi. In una casa lontana, lasciata al lavoro instancabile del tempo, vede una vecchia colombaia vuota: "Chissà quanti piccioni ha ospitato", pensa. Riaperte le ali e ripreso il volo Alì torna verso il mare, ma questa volta cambia finestra, scende di un piano e si ferma oltre una sottile zanzariera tirata. E' mattina presto, in casa tutto è immobile, la luce è forte ma il caldo è sopportabile, fermarsi lì può essere una buona idea; improvvisamente, alle sue spalle, uno strano verso lo insulta, un misto tra un miagolio isterico e un gorgheggio da neonato arriva dal pavimento e lo investe completamente. E' un gatto, una gatta forse, bianca, sporca, decisamente poco aggraziata, che lo punta nervosa e sbatte la coda nera con frenesia e preoccupazione. In pochi secondi arrivano le due donne della sera precedente, quella esperta in colombi e quella che si limita a guardarlo, è proprio lei ad aprire la zanzariera con una piccola scatola di cartone in mano terrorizzandolo a morte. Il tetto rosso continua, per tutto il giorno, ad essere il suo rifugio, da lì Alì spicca il volo spesso, si posa sul palo, sulle tegole delle case vicine, sul parapetto di un terrazzo assolato dove la ragazza con i capelli mossi gli allunga qualcosa da mangiare, un mucchietto di palline gialle, probabilmente uno strano e poco soddisfacente cibo straniero, che mangerebbe pure se non fosse continuamente insultato da quella stupida gatta bianca. Il sole tramonta, si alza un po' di vento, la signora anziana gli rivolge parole dolci e domande su persone che lui mica conosce, i bimbi battono le mani, gli adulti guardano l'anello che gli stringe la zampa sinistra e stanno al telefono a dire numeri per ore e lui pensa, dopotutto, che rimanere lì potrebbe anche essere un'idea. Chissà perché poi, in quel posto, lo chiamano Alì.



mercoledì 7 agosto 2013

Verde, Vesima, Vargas

V di Casa.
Sono arrivata ieri pomeriggio e sono subito andata al mare. Chiusa l'ultima riunione di lavoro ho acchiappato il borsone già pronto dalla sera prima e sono venuta qui, dal mio mare, sulle mie pietre, tra i miei fiori.
Mi sono portata da leggere, ma anche da lavorare. Relazioni tecniche, tesi di dottorato, e-mail di aggiornamento, lezioni di chimica...tutto pronto per essere iniziato, ma non proprio adesso, non mentre le cicale fanno questo chiasso, la gatta mi cerca con la coda, il sole si lascia coprire da qualche nuvola.
Sto leggendo due libri contemporaneamente: L'uomo a rovescio di Fred Vargas, e La natura che cura di Michael Wachtler. Un giallo e un saggio. Anche se li si potrebbe tranquillamente definire un saggio e un romanzo, un volume sui rapporti tra gli esseri umani e un racconto ambientato nei boschi più belli e tranquilli che esistano.
Il primo, iniziato ieri su consiglio di mamma, temo che mi catapulterà molto in fretta nel mondo dell'autrice, ormai famosissima e attesa ad ogni nuova uscita editoriale. Io, che d'estate mi nutro di gialli scandinavi ormai da qualche anno, sto trovando qualcosa di così familiare tra le pagine de L'uomo a rovescio, che i freddi capitoli nordici della Holt (l'unico libro mancante mi è scivolato in borsa proprio ieri) cominciano ad avere un degno rivale sulla mensola.
"Essere una mezza dura non le impediva di amare Lawrence con sincerità, a modo suo. Di apprezzarlo, persino di ammirarlo, di scaldarsi addosso a lui. Senza aspettarsi un bel niente. Camille aveva conservato dell'amore solo i desideri immediati e i sentimenti a breve gittata, murando qualsiasi ideale, qualsiasi speranza, qualsiasi velleità di grandezza. Non si aspettava quasi nulla da quasi nessuno. Ormai sapeva amare solo così, in una disposizione mentale predatrice e benevola, che sfiorava i limiti dell'indifferenza". Ecco tutto quello che non voglio più essere, ecco i muri in cui mi sono chiusa per un sacco di tempo, ecco il recinto da cui sto cercando, con lentezza e con amore per me, di uscire. Non so come andrà a Camille, sono solo all'inizio del libro, ma so come si sente.
Per quanto riguarda La natura che cura, invece, non voglio scrivere nulla per ora...è un regalo bello, pieno di valore, di cui parlerò prima con la persona che me lo ha portato giù dai monti. Sicuramente, mentre lo leggo seduta nel mio "giardino incantato", ho sempre più chiara davanti a me l'enorme fortuna che ho di essere nata e cresciuta in mezzo a prati, boschi, animali e lentezza. La velocità, la confusione, e il cemento sono andata a cercarmeli io più tardi, quando le grandi braccia forti della campagna avevano iniziato a stringermi troppo, come fanno le vecchie zie quando ti riempiono di baci e complimenti fino a farti soffocare. Ora, che in città ho trovato la dimensione corretta per le mie giornate, in cui risparmio il tempo del viaggio da pendolare per fare una passeggiata vicino all'acqua, un giro nel centro storico, un salto tra gli scaffali delle librerie, un'ora di pilates, una bevuta sui tetti, torno dalla vecchia zia molto più volentieri di prima.
Ieri pomeriggio, nonostante il mare non fosse cristallino come stamattina presto, terminare il grande giallo della Holt sdraiata sui ciotoli di casa ha significato ufficialmente iniziare le vacanze estive, nonostante il lavoro da continuare comunque da casa, nonostante i guai alimentari ancora tutti da chiarire, nonostante il percorso difficile ma pieno di sorprese intrapreso da un po'.
"...Ho sempre avuto paura che qualcuno mi vedesse [...] Voi non capite che impiego ogni mia energia per nascondere tutta me stessa. E' come se non osassi. Per me è altrettanto pericoloso se qualcuno scopre che...mi piace farmi grattare la schiena. O che adoro i pankake con lo sciroppo d'acero e la pancetta affumicata. Io sono tutto questo. ed è mio. Mio. Mio...". Anche la Holt, dal canto suo, non scherza.
E ora, in questo pallido dopo pranzo, prima di dedicarmi al lavoro per un paio d'ore, andrò a sdraiarmi tra le lenzuola fresche e penserò a quelle rocce a picco sul lago che mi fanno sentire protetta, ovunque io sia.

domenica 4 agosto 2013

Perdonami se ti cerco


Perdonami se ti cerco così
goffamente, dentro di te.

Perdonami il dolore, qualche volta.
E’ che da te voglio estrarre il tuo migliore tu.

Quello che non vedesti e che io vedo,
immerso nel tuo fondo, preziosissimo.

E afferrarlo e tenerlo in alto
come trattiene l’albero l’ultima luce che gli viene dal sole.

E allora tu
verresti a cercarlo, in alto.

Per raggiungerlo, alzata su di te, come ti voglio,
sfiorando appena il tuo passato con le punte rosate dei tuoi piedi,
tutto il corpo in tensione d’ascesa da te a te.

E allora al mio amore risponda
la creatura nuova che tu eri.


Pedro Salinas