lunedì 31 marzo 2014

Cara me

Ho una voglia matta di scrivere qui ma non ho il tempo per farlo.
Due presentazioni power point in dirittura d'arrivo, una ancora da iniziare, il week end lavorativo, il sole che fa venir voglia di correre sui prati dalla mattina alla sera. Altro che ufficio. Altro che pc.
Ma non si può, non ancora per lo meno: un po' di tranquillità ci sarà già tra una settimana, il viaggio in programma sarà da rimandare di qualche tempo, ma passeggiate, spiaggia e libro non sono poi così lontani.
Nel frattempo però, negli unici momenti in cui mi concedo un attimo di pausa dal monitor super illuminato e molesto, ho voglia di scrivere.
Oggi, navigando qua e là, mi sono imbattuta in questo e mi sono subito commossa. Nell'occhiata veloce che ho dato al sito mi pare di aver capito che si tratti di una piattaforma on line, gestita da alcuni autori, in cui chi scrive dedica una lettera al se stesso teenager, raccontandogli cosa è successo dall'adolescenza ad oggi, come sono cambiate le cose, com'è proseguita la vita, dove sono andate le speranze messe nel cassetto così tanti anni prima.
Non so con quale criterio vengano scelti argomento, modalità e scrittore del post, non ho ancora avuto il tempo di leggere seriamente tra le pagine del sito e farmi un'impressione più precisa. So solo che trovo sia un'idea splendida, romantica, forse pure un poco triste, ma certamente vicina alle mie corde e al mio modo di pensare.
Perciò in questi pochi minuti strappati alle slide piene di colori e di formule, voglio scrivermi anche io una lettera, partendo dalla foto sfocata quassù, quando avevo solo diciassette anni e la testa rasata.

"Cara me,
sono passati quindici anni, QUINDICI, da quando correvi su quella spiaggia, con il pellicciotto giallo e i Doctor Martens. Alla fine ti sei diplomata, nonostante quel liceo assurdo pieno di morti, di canzoni, di vodka alla pesca e assemblee, sembrasse non terminare mai. Ti sei iscritta a Lettere, con lo sguardo vigile di disappunto e rassegnazione di mamma, con la solita indifferenza di papà e con la buona abitudine di lavorare d'estate per pagarti i sabati sera fuori e la prima vacanza da quasi maggiorenne.
L'amore è andato come ha potuto, gestito da te che non sei mai stata brava a cercarti il bene nel mondo. Storie lunghe quasi tutte, intense, faticose, necessarie. Qualche tentativo poco felice, qualche altro poco fortunato, qualche altro ancora semplicemente un modo, l'ennesimo, per punirti il più possibile.
L'università l'hai finita, due volte, nel frattempo hai sepolto papà e un sacco di altra gente, rantolando in silenzio e stringendo i denti come non pensavi fosse possibile. Fai fatica a crederci anche adesso se è per questo.
Quello che non hai detto a parole l'ha detto il tuo corpo, ti sei ammalata spesso, ti sei spaventata ancora più di frequente e ancora oggi somatizzi tutto, dall'inceppo sul lavoro al peggiore dei soprusi.
Hai trovato l'amicizia vera e quella falsa, hai ascoltato voci amate, rispettate e accolte come fossero di famiglia, hai perso persone che hanno guardato altrove per troppo tempo, con la convinzione di trovarti ancora lì una volta tornate.
Hai fatto mille lavori diversi, alcuni divertenti, alcuni imbarazzanti, alcuni faticosi per la testa, per il corpo e per il cuore.
Hai avuto fame, sonno, voglia di fare l'amore.
Hai perso peso e lo hai ripreso, e riperso, e ripreso. Hai corso dietro a un treno, dietro a un cane, hai corso e basta. Ti sei guardata dentro, hai chiesto aiuto per farlo, hai lasciato casa, mamma e gatta per trovare il tuo piccolo posto nel mondo. Hai costruito un nido verde pieno di legna e di cose belle, hai continuato a studiare e, pensa un po', ti sei persino dottorata. Hai provato con poco successo a mettere da parte qualche soldo ma l'unica cosa che sai accantonare è l'orgoglio, anche se forse, in questi quindici anni, sei un poco migliorata.
Hai imparato a cucinare, a fotografare, a fare pilates e (ogni tanto) a dire di no.
Hai cominciato a scrivere come mai avevi fatto fino ad ora, con costanza, passione e visione futura, leggendo libri, spulciando blog, pensando ai tuoi diciassette anni."


P.S. In questi anni di ilmareingiardino la foto del post potrei pure averla già usata, non ricordo, ma fa lo stesso.

domenica 23 marzo 2014

E brava Giulia...

La prima volta che ci siamo viste non volevamo essere dove eravamo. Adolescenti spostate da un mondo conosciuto a un mondo nuovo, soprattutto lei con la sua maglia di Vasco e il broncio, rannicchiata sulle scale di casa, mentre la banda suonava e la coda per le focaccette fritte arrivava fino alla strada.
Di anni ne sono passati quasi venti, cazzo. Venti.
E nel frattempo siamo cresciute, ne abbiamo viste di tutti i colori, ne abbiamo superate di tutti i colori e ancora oggi ci lottiamo contro ogni giorno.
Abbiamo imparato ad amarlo questo posto, io forse più di lei che è andata via tante volte, per lavoro, per i suoi viaggi matti e meravigliosi, che non ha mai mancato di raccontarmi nei minimi dettagli durante le cene dei mille ritorni.
E il gelato alla crema con miele e cannella, le zuppe, i miei sformati di verdura, le insalate dei sensi di colpa, il passito e soprattutto il baffo ghiacciato delle sere d'estate, lei abbronzatissima e io fucsia ma felice.
Siamo state lontane, siamo state Vicine.
Abbiamo parlato tanto, di tutto, senza paure, senza pregiudizi, senza dimenticarci mai cosa conta davvero.
Abbiamo parlato anche di te, di scelte, di futuro, di preoccupazioni e speranze.
Quando mi ha detto che ti saresti chiamata Giulia ho subito ricordato la maglietta di Vasco, i concerti a cui lei andava spesso, con gli amici e con lo zio, fan sfegatata di quel cantante che a me non è mai piaciuto ma che mi ha sempre fatto pensare a lei. E ora anche a te.
E mi vengono in mente anche tutti i concerti a cui siamo andate insieme: Guccini, la Nannini, la Mannoia, i Negramaro (solo perché avevamo dei biglietti gratis eh...), Conte, Elisa e forse qualcuno lo dimentico pure.
Sono stata fortunata ad averla trovata e ora sono fortunata ad aver trovato te, piccola figlia della mia migliore amica, che oggi mi hai guardata con un occhio solo (che lo so che mica ci vedi ancora, hai solo quattro giorni), appesa a quella tetta gigante, col pigiama pieno di gufi e una cascata di capellini neri.
Ben arrivata nipote, piacere di conoscerti!

P.S. La foto è un lavoro di mamma, un work in progress in verità. Si tratta di una piccola camicina, anzi di un piccolo camice, cucito per i bimbi prematuri che devono affrontare una Risonanza Magnetica Nucleare. Fa parte di questo meraviglioso progetto.

sabato 15 marzo 2014

Between the click of the light and the start of the dream

Oggi è una giornata strana.
Questa mattina ho corso più di un'ora e se non avessi ripensato alle parole lette sulla fibromialgia e a quelle dette dal fisiatra avrei continuato a correre ancora. Al porto era tutto tranquillo o per lo meno così sembrava a me. Una lunga fila di persone, donne per lo più, pronte ad entrare alla fiera di hobbistica, signori con i cani a passeggio, skipper impermeabili che mi seguivano con lo sguardo, qualche turista straniero un po' sperduto davanti a tutto quel mare calmo.
Nelle cuffie la musica che mi accompagna ormai da giorni e la radio che sembra sempre sapere e mi regala i pezzi giusti al momento giusto.
A pranzo la carne di Ste, ho il ciclo e mi serve. Poi metro, poi bus, poi regalo per la "nipotina" in arrivo. Poi bus, poi metro, poi letto, in attesa di incontrare mamma e andare con lei all'inaugurazione della mostra di acquaforti di un'amica.
Belle, una se n'è pure venuta a casa con me, devo solo decidere dove appenderla o posarla, quella sagoma in bilico sul filo, seguita da un gatto un po' goffo e con in mano un palloncino rosso.
Quest'oggi navigando in rete mi sono imbattuta in una lettera, questa, scritta in risposta ad un post meraviglioso, su cui inevitabilmente mi sono trovata a riflettere molto.
Quello a cui ho pensato istintivamente è che il mio approccio alla perdita sia stato più simile al percorso raccontato da Linda Varlese, poi però, soffermandomi con il cuore calmo a leggere le parole di Noah Michelson credo di non essere tutto sommato così distante dai suoi pensieri.
Vorrei provare a riguardarli punto per punto e a vedere se posso farli miei, oppure no.
Intanto la storia è simile, ma si discosta per un aspetto molto importante: mio padre non ha (quasi) mai voluto lottare. Un particolare non da poco per chi si ritrova poi con un lutto da elaborare. Comunque, stessa tosse dell'inferno vero, stesso cancro, nove mesi anziché sei (con una ottimistica previsione di due), ultimi trenta giorni che non si possono raccontare. Lui scrive Quei sei mesi furono i più tristi e strani della mia vita. Li attraversai al rallentatore, è andata esattamente così anche per me. Come anche per me, luglio anziché febbraio, è un periodo bianco, in cui galleggio tra somatizzazioni e crolli accorgendomi solo a giorni passati che si tratta del suo mese, piantato nel mio cervello e nel mio cuore come una puntina da disegno ormai arrugginita: Adesso quando arriva febbraio, un'appiccicosa inquietudine mi cola dal cervello per raccogliersi nel mio petto, e finisco col trascorrere le quattro settimane seguenti oscillando fra la necessità di distrarmi dall'orrore di ciò che accadde durante gli ultimi mesi di vita di mio padre, e il desiderio di cullare quei ricordi, rigirandomeli di continuo nella mente affinché non ne dimentichi mai i contorni frastagliati.
Mio padre non è stato un uomo incredibile come quello di Noah, anche se ognuno ha il suo "senso dell'incredibilità" no? Perciò le seguenti cinque cose su cui rifletterò dopo quasi nove anni posso dire che sì, sono in onore del suo per lo meno bizzarro modo di arrivare, rimanere e andare via da questa terra.
1. Fa' che tutto - tutto - abbia importanza oggi, perché non sai mai che cosa il futuro abbia in serbo per te.
Sembra una frase fatta e forse in effetti lo è, non sono per nulla brava a seguire questo precetto, ma ci provo, ultimamente più che mai, ponendomi meno limiti possibile all'opportunità di assaporare la vita. So bene che dall'oggi al domani le cose possono cambiare, malissimo pure.
2. Affrontare la propria fine porta una certa pace.
Niente, non so cosa significhi. Io il senso di pace nella morte di mio padre non l'ho trovato mai, non in lui per lo meno. Anzi, il poco che ho provato io nelle ultime ore, quando sapevo con una buona dose di certezza che le sofferenze stavano ormai terminando, si è tramutato subito ed è rimasto per anni un gran coagulo di senso di colpa, fermo immobile tra i miei polmoni.
3. Mai sottovalutare il potere dell'arte.
Quanto è vero. Sono riuscita a trovare il bello anche nell'odore dell'alcool dei reparti, anche nelle finestre delle sale d'aspetto, nelle ore rubate tra un turno e l'altro in cui mi concedevo un acquisto frivolo o un gelato che fungesse da colazione, pranzo e cena. A differenza dell'autore del post non ricordo più cosa leggessi in quei giorni, all'inizio preparavo gli ultimi esami all'università, più avanti chiusi pure quei libri e forse non lessi più niente. Né guardai la TV. Aspettavo paziente, con le mani poggiate sulle ginocchia, che riuscisse a dormire, almeno un poco.
4. Tutti meritiamo il diritto di morire.
Certamente, e non smetterò mai di crederci. Nemmeno io ho avuto il coraggio di uccidere mio padre, nemmeno io scorderò mai i suoi occhi che lo domandavano in silenzio. Sono momenti che non si dimenticano mai più e che sono maledettamente utili per crescere, per alimentare il più possibile il punto 1 e vedere il bello ogni volta che si può, ovunque ne abbiamo l'opportunità.
5. L'amore esiste.
In tutte le sue forme. Il cancro di mio padre mi ha mostrato quanto siano diversi quello di una compagna da quello di una figlia, quanto spesso l'ipocrisia venga travestita da amore, quanto anche solo aprire una finestra in una torrida giornata di metà luglio possa rappresentare un enorme gesto d'amore. Il silenzio è amore. Una corsa in moto per non pensare è amore. Un brindisi alla morte è amore.
La possibilità di vedere l'amore in tutte le sue sfumature è stato il regalo più grande che questa storia mi abbia lasciato. La capacità di cogliere questa bellezza non l'ho mai più persa e sono convinta che le persone che vivono accanto a me vengano spesso toccate, anche solo di striscio, da un mio gesto di amore per loro.
Un grande dono, papà.

P.S. Non è fine mese, sono in anticipo con la canzone di marzo, ma questa sono così tanti giorni che la ascolto che non posso proprio non segnalarla: Arcade Fire - No cars go (pure il titolo del post viene da lì)

domenica 9 marzo 2014

Speed of silence


Mercoledì 5 marzo, sera.

Quassù c'è il sole, di quello che brucia gli occhi anche con gli occhiali.
Queste montagne non le conosco, non hanno la punta, sono spaccate con l'ascia come pezzi di legno. Anche i colori sono diversi, roccia rossa nelle valli basse, grigia sempre più chiara man mano che si sale. Oggi abbiamo camminato e pedalato, ognuno con i suoi tempi e i suoi silenzi, in mezzo a un'enorme quantità di neve, di abeti e di luce.
A un certo punto ho anche visto uno scoiattolo, piccolo, scuro, con i peletti a punta sulle orecchie, che saltando veloce attraversava un pianoro e si arrampicava svelto, non senza soffermarsi un poco a guardare, pure lui, quella strana bici dalle grandi gomme. Siamo rossi, gialli, grigi e azzurri, ci muoviamo con poca fatica e mangiamo tantissimo. Salumi, formaggi, selvaggina, polenta, vino e dolci come se non ci fosse un domani, qualcuno dimagrirà e qualcuno prenderà peso, non ho dubbi su chi ingrasserà.
Ho visto alberi contro il sole oggi, neve illuminata da mille cristalli, licheni caduti dai rami, pipì gialle su sentieri bianchissimi, pale piantate accanto alle baite, tetti ricoperti più di quanto si possa immaginare, slitte veloci e molestissime (almeno per me), cani felici, orme piccole e tracce grandi, fiumi nel bosco, vette accese, nonni e nipoti insieme sul bob.
Ho usato le racchette e i miei scarponi nuovi, ho cercato inutilmente di abbronzarmi e mangiato la torta di ricotta più buona del reame. Ho sudato tanto da puzzare come mai nella vita, mi sono sciolta sotto una doccia bollente e cenato con i miei primi canederli in brodo. Ho conosciuto alberi che avevo solo sentito nominare per anni, ho camminato sotto la luna cercando caldo per le mani, ho attraversato un ponte illuminato sul fiume avvolto nel buio, ho schivato il ghiaccio e ho pensato alla cena trentina per gli amici.
Vivo in modo strano queste camminate, davanti ho i passi di sempre, ma intorno è tutto nuovo.
E pure io un po' lo sono, disabituata al viaggio, a regalarmi un piacere, a pensare a me e solo a me. Ieri al Muse, posto meraviglioso che desideravo visitare da mesi, mi sono sentita persa, persa tra le cose che amo e che non so se avrò mai il coraggio di inseguire davvero, persa tra scolaresche e bimbi curiosi, tra borracce, lepri impagliate e colate di neve, persa tra caschi di banane, pesci blu e poiane appese, persa tra le possibilità che presto o tardi sarò costretta a guardare in faccia.
Quindi adesso, mentre Andrea è andato a prendere l'acqua in camera e io scrivo nel salotto del garnì che ci ospita ascoltando Speed of sound e scrivendo questo post, chiudo gli occhi e mi sento bene, non potrebbe essere altrimenti.

P.S: E' ovvio che questo post sia un QB, qualcosa di bello. Ma non è tutto oro quel che luccica giusto? Mezza schiena incriccata, un'oretta abbondante di paura ad ascoltare il rumore più spaventoso del mondo, una crisi isterica d'alta quota, la febbre da sole del ritorno...QB, qualcosa di brutto.
Poi però ho visto i mufloni, femmine brune che saltavano la staccionata come le pecore che si contano prima di dormire, controllate dal maschio e felici nel loro bosco. E tutto si è fatto bellissimo.

domenica 2 marzo 2014

Chissà

Oggi c'è il sole, ho comprato delle piante e cucino per i miei amici. Alè!
L'idea (perché tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, si sa, ma soprattutto ci sono di mezzo un sonno boia e un mal di testa importante) è preparare una frittata di boragini e bietole e uno sformato di cavolo rapa. Poi, e qui gli ingredienti sono già pronti e facili facili, vorrei occuparmi dell'aperitivo, portando uno dei miei cavalli di battaglia di qualche anno fa: il cocktail spumante (economica e a mio avviso pure più buona rivisitazione dello champagne cocktail).
Quindi buonamusica, qualche balletto improvvisato tra un'infornata e l'altra e poi tutti dai vicini fotografi-matematici-pasticceri. Si ricreerà il gruppo montagna e si aggiungeranno pure le altre facce del cuore, compresa quella piccola piccola dell'ultimo arrivato. Che bellezza!
Per il resto, chissà. E' il primo weekend di marzo, tra un anno sarò disoccupata, il mio equilibrio sta in piedi nonostante tutto e tutti e io non mi preoccupo troppo per il futuro. E' una condizione a me sconosciuta, quasi eccitante, provare a non programmare e a non obbligarmi a capire subito che accadrà. Cosa spero dal punto di vista lavorativo? Cosa voglio dalla mia vita sociale? Cosa succederà all'amore? Chissà.
Chissà se sarò capace di costruire qualcosa per me, se sarò buona con le mie voglie e i miei desideri più profondi, se troverò un posto sicuro nel mondo dove continuare a vivere. Buffo, essere a questi punti a trentadue anni suonati, ma in fondo penso che ci si possa sentire così anche a quaranta di anni e, perché no, pure a cinquanta, sessanta, cento.
Ascolto Nick Cave e mi rilasso, ripenso agli acquisti di ieri in uno dei miei negozi preferiti che svende tutto e mi regala perle perfette come le ballerine traforate della foto, rileggo i messaggi di neve, bici ciccione e gnocchi al pesto, allungo il solito tendine in perenne lotta con la mia voglia di correre.
Quindi, in questa domenica strana, lontana da tutto, tutti e forse pure da me stessa, la finisco qui con la ricetta dell'aperitivo più buono e sexy del mondo:
Ingredienti
- spumante
- cognac
- zucchero
- limone
- arancia
- angostura
Il bicchiere adatto è il flute, credo.
Il procedimento è di una banalità sconcertante:
Posare la zolletta di zucchero nel bicchiere (va bene anche un cucchiaino, ma la zolletta è decisamente più figa), macchiare con qualche goccia di angostura (che, ho scoperto, una volta aperta conviene conservare in frigo), versare un poco di cognac, lo spumante, spruzzare la scorza del limone e decorare con una piccola fetta di arancia.
Credo sia piuttosto superfluo scrivere le proporzioni esatte di ogni ingrediente, comunque la perfezione sarebbe 90 ml di spumante e 20 ml di cognac e 2 gocce di angostura.
Andata!
Cin Cin!