sabato 28 giugno 2014

QB: 10 piccoli indiani

Che non sono quelli di Agatha Christie eh, in realtà non so nemmeno io cosa siano, ma se ci penso mi viene in mente un libro che lessi alle medie, o forse erano le elementari, quando il pulmino-biblioteca si fermava sulla piazza vicino alla scuola e noi uscivamo correndo per prendere in prestito il libro del mese. In quel libro c'erano dei piccoli personaggi che uscivano solo di notte e non mi ricordo altro, se non che mi piacque e mi fece anche un po' paura. Ed evidentemente mi rimase dentro.
Oggi i dieci piccoli indiani sono un QB: Qualcosa di Bello e sono dieci cose che vorrei fare. Non è una wishlist, non è un insieme di propositi, non è un cesto di obiettivi sbilenchi che difficilmente raggiungerò, è solo un mazzo di idee che mi vengono e spesso mi lasciano così come sono arrivate.
Sono a casa da mamma adesso, ascolto buonamusica e aspetto che sia l'ora di salire sotto l'albero grande per mangiare focaccette fritte e non pensare a nulla. Che qui alla fine è difficile non pensare a nulla, quando è sera e c'è la spiaggia vuota, quando tutto sembra lontano e in realtà non lo è per niente.
Comunque questo è un QB positivo e questi sono i miei dieci piccoli indiani:
1) Imparare assolutamente a lavorare con l'uncinetto. Giuro che mi impegnerò, nel frattempo sbavo guardando questi
2) Migliorare nella fotografia e avviare almeno uno dei tre progetti che ho in mente (che se mi sforzo me ne vengono in mente solo due...mannaggia, ne ho già perso uno per strada)
3) Continuare a leggere tanto quanto sto facendo in questo periodo, ricordando di recensire tutto e magari fare le foto ai pantoni dei libri...uh! Ecco qual'era il terzo progetto fotografico!
4) Andare ad un concerto entro la fine dell'estate, io vorrei tanto tantissimo essere qui, ma mi accontento anche della silent disco di Sestri Levante eh...
5) Organizzare una festicciola delle mie sull'Albero, che intanto è bello fresco in questo periodo e io ho voglia di passare ore a preparare finger food e tovaglioli a forma di airone
6) Trovare la tinta perfetta per la mia bad head, che non ne vuol sapere di restare in ordine e continua a farsi i fattacci suoi, colore compreso
7) Continuare con i collage degli amici, per ora è nato solo il prototipo del vicino-vicino, apprezzato assai ma pur sempre di prototipo si tratta
8) Assecondare l'improvvisa passione per i dinosauri, prossimo passo: voglio disegnarne (incollarne? cucirne?) uno su una maglietta
9) Andare in vacanza, che sia Parigi, che sia altrove, ma l'importante è che sia vacanza
10) Superare questa piccola battaglia con la chimica, e non parlo di quella con cui lavoro

E ora ciao, che devo andare a ingozzarmi di lievito fritto.



martedì 24 giugno 2014

Più rara che unica

"La storia della mia vita non esiste, proprio non esiste. Non c'è mai un centro, mai un percorso, una linea. Ci sono solo vaste zone dove sembrava ci fosse qualcuno, ma non era vero. Non c'era nessuno" (Marguerite Duras)
Scorrendo tra le milioni di foto fighissime che Pinterest ci offre ogni volta che vogliamo oggi ho trovato questa frase che non conoscevo. Diffido spesso delle citazioni perché a meno che io non sappia con certezza da dove vengono tendo a non fidarmi di quello che leggo qua e là, soprattutto se non sono presenti i riferimenti al testo originale.
Però questa volta ho pensato che comunque sia quelle parole mi colpiscono, le sento mie, profondamente mie, perciò credo sia giusto condividerle senza pormi troppe domande.
Oggi è una bella giornata, perché quel senso di vaste zone vuote che ho trovato nella frase quassù è stato un pochino colmato.
Dopo ormai tanti anni dalla vecchia e superata storia della gamba, ho aggiunto un tassello importante al tempo del mio futuro, ho dato (anzi, hanno dato) finalmente un posto alla mia condizione, hanno usato parole corrette, termini scientifici e pure qualche sorriso per dirmi che sì, sono stata sfortunata e che sì, ho diritto ad un appoggio, ad un piano terapeutico mio, ad una telefonata al bisogno, ad un percorso insomma, chiaro e tracciato dove non mi sarà possibile perdermi. E mentre il medico parlava, mentre compilava la scheda, mentre domandava a mia madre la sua storia prima di me, io ho improvvisamente capito quanto avessi bisogno di questa mattina. Quanto mi servisse avere la strada tracciata da tante piccole molliche di pane, quanto anche le prescrizioni che non mi aspettavo, quelle più complicate e pesanti, potessero rappresentare un punto saldo a cui aggrapparsi, un posto sicuro dove andare.
E quindi ho scoperto di essere rara (ma chi non lo è?), ho scoperto che un centro, un percorso, una linea volendo si trovano sempre, presto o tardi. Magari passeranno dieci anni, magari basteranno pochi mesi e forse anche il mio cuore, il mio lavoro, le mie passioni, troveranno allo stesso modo una via tracciata dove cominciare a camminare sicuri.
Domani è un giorno di festa qui e io ho già preparato tutto l'occorrente per fuggire al mare, cappello di paglia compreso. Cercherò di ascoltare il mio corpo un po' sotto pressione in queste ore e mi dedicherò alle cose che amo fare di più: leggere, camminare, immaginare invenzioni nate in un attimo dalle mie mani, sognare viaggi in paesi lontani, pieni di piante e di case in attesa. In attesa che qualcuno alzi il naso per guardare un balcone fiorito, che un obbiettivo scatti la foto al gatto sullo zerbino, che uno zaino si appoggi in terra accanto al tavolino di un bar, giusto il tempo per bere un bicchiere di vino e cercare la strada sulla cartina. Finalmente basterà un attimo.

martedì 17 giugno 2014

Una borsa a pois

Odio le partenze quanto amo i ritorni.
Che siano le mie o quelle delle persone a cui voglio bene, le valigie da preparare mi hanno sempre messo l'angoscia. Quante volte ho chiesto "l'hai già fatta la valigia?", quante volte ho scrupolosamente stilato la lista delle cose da portare, anche per un viaggio di due miseri giorni, con la netta sensazione che avrei comunque dimenticato qualcosa di assolutamente fondamentale.
"Fare le valigie" per me vuol dire andarsene, lasciare un luogo e le persone che lo abitano, abbandonare. Insomma...una tragedia.
Anche domenica scorsa, prima di varcare la soglia di casa con il mio orribile trolley marrone e il mio inseparabile zaino da trekking, l'ultima cosa che ho pensato (e pure detto) è stata: "io non voglio andare". Chissà poi perché, ho fatto domanda per il Training Camp, ho avuto tutto il tempo per pensarci, per ripensarci, per rinunciare, per non confermare la mia presenza e sono stata felice quando mi hanno avvisata della selezione e cominciato a fornire indicazioni per raggiungere questo posto disperso tra tigli in fiore, papaveri sbiaditi e girasoli ancora chiusi.
Credo che il problema, per lo meno per i viaggi che riguardano me, risieda solo nel momento della partenza. Una volta arrivata a destinazione normalmente me la godo, faccio amicizia con facilità, vago senza meta tra le strade del mondo nuovo, sfrutto con estrema serenità i giorni concessi lontano da casa e dalle sue innumerevoli inevitabili distrazioni.
Questa scuola, così difficile da raggiungere e ricca di lunghi momenti di studio, mi ha regalato molto tempo per stare con me, per guardare fuori da finestrini sporchi e traballanti, per dormire (scomoda) in una stanza immersa tra i tetti, per attraversare i vicoli di pietra mentre il sole tramonta, per leggere pagine su pagine nel silenzio della sera un attimo prima di scivolare nel sonno.
La connessione internet è debole, questo post forse uscirà solo una volta rientrata a casa, ma ora, mentre scrivo, si sentono i miei compagni ridere sotto alla finestra, i pensieri sono lontani e forse meno dolorosi del solito, la sensazione di aver scelto qualcosa per me, dopo tanti mesi di ufficio, mi fa stare bene e in pace con quella parte del mio cuore che ancora non si arrende a lasciare andare anni di studio, lavoro, tempo dedicato all'aggiornamento e timida passione per il piccolo, per lo sconosciuto, per il colorato, per l'ibrido...per tutto ciò che sta al confine, esattamente come me.
Al confine tra l'antico e il moderno, tra il vero e il falso, tra il bello e il brutto, tra il vicino e il lontano, tra me e il resto del mondo.
E così ieri mentre entravo nel museo delle erbe e venivo investita dal profumo forte e familiare dell'elicriso, ho pensato che è vero che "partire è un po' morire" e che mai come negli ultimi giorni la mia partenza l'ho associata a una morte che mi ha colto di sorpresa. Poi però, sotto a un soffitto di mazzi appesi a testa ingiù mi sono vista da fuori, contenta davanti a uno specchio screpolato, felice di aver trovato un posto mio, profondamente mio, in mezzo a cose che adoro ma dalle quali troppo spesso mi sento esclusa, dalle quali mi tengo lontana anche di proposito, come se non volessi disturbare, come se tra un decotto di malva e uno sciroppo di rose mi sentissi più sicura.
Alla fine è arrivato oggi, che abbiamo cominciato con gli strumenti, che non mi ha risparmiato nulla sulla consapevolezza della mia ignoranza in certi argomenti, ma che mi ha anche mostrato quanto invece sotto tanti altri aspetti io sia inconsciamente preparata e pronta al ragionamento. Non lo credevo, non lo sospettavo nemmeno forse, perciò per festeggiare ho pensato che l'unica cosa possibile da fare fosse comprarmi (qui) una borsa di plastica rossa, a pois.

lunedì 9 giugno 2014

Due

Il pretesto, ancora una volta, me lo ha dato Cindy con questo post. Anzi, me lo hanno dato Daria Pop che lo ha scritto (e che io ancora non conosco) e Cindy che ha ospitato i suoi pensieri.
Io ce l'ho un obiettivo?
Eh, bella domanda.
Per capirlo forse dovrei prima sapere chi sono e cosa faccio. Ma forse, anche a quel punto, sarei comunque confusa e piena di dubbi sul futuro e sulle mete che ho davanti. O che potrei raggiungere. O che boh.
Credo di avere due vite, forse pure tre, ugualmente importanti, ugualmente divertenti. Mentirei se dicessi che andare al lavoro mi piace quanto stare sull'albero a costruire con la mente prima ancora che con le mani o a scrivere come sto facendo ora, nel silenzio e nella calma più totali. Ma è pur vero che se la creatività fosse la mia primaria occupazione forse non mi piacerebbe così tanto e le mattinate a scoprire i segreti di un dipinto mi mancherebbero assai. Chi può dirlo.
Ho appena salvato la presentazione power point che dovrò usare la settimana prossima per dire chi sono ai miei compagni di corso, e così, in un attimo, sono saltata ne ilmareingiardino per buttarmi in questo post che mi pizzica dalla mattina.
Con uguale concentrazione e presenza di me ho scritto di analisi al microscopio e ho pensato a come rendere comprensibile il senso di dualità che mi caratterizza. O di trinità, dicevamo, ma così forse si fa troppo pretenzioso.
E' come se avessi una gemella siamese, come se fossimo attaccate una alla schiena dell'altra e ogni giorno c'è chi appoggia il primo piede sul parquet e inizia la nuova giornata. Cross section o garofani color salmone? Raggi X o pantone del libro nuovo? Resina epossidica o zucchine sul balcone?
La grande differenza credo stia innanzi tutto nel fatto che questo lavoro mi dà da mangiare, e bene pure. Ma questo lavoro che mi permette orari flessibili, uscite anticipate, vacanze improvvisate, viaggi rimborsati e pure qualche bella soddisfazione ogni tanto, il prossimo anno non ci sarà più. E quindi? Toccherà mica all'altra gemella farsi avanti? A quella dei semi-conigli (vedi foto), quella delle recensioni piene di cuore, quella dei pupazzi di lana e dei collage con la carta abrasiva?
Io non lo so e a volte vorrei proprio avere una sfera di cristallo in cui poter guardare il mio (nostro) domani senza la paura di ciò che non conosco. Giusto per avere il tempo di organizzarmi eh, giusto per capire se fotografare amarene o scrivere di vita, morte e erba verde possa davvero essere un lavoro. Qualcosa su cui investire. Qualcosa che si definisce un obiettivo.
Nel frattempo ho almeno tre progetti fotografici in mente, un'idea handmade perfettamente funzionante che non ho mai tempo, voglia, coraggio di portare avanti, uno spiccato gusto per il bello-bellissimo che è davvero un delitto chiudere in un cassetto, un sacco di parole scritte, in parte condivise, ma mai rese ordinate e accordate tra loro, un milione di piccole grandi passioni più o meno passeggere, da vera smandrappata, che mi riprometto sempre di fissare su un quaderno ma che alla fine restano un semplice soffio di vento.
Ora perdonatemi, ma devo inviare il power point al mio tutor e dire due parole alla menta sulla finestra.

domenica 8 giugno 2014

Guida rapida agli addii

Quando ho scattato la foto quassù non ho affatto pensato a questa, lo giuro. Però, chissà perché, è andata che ben si accordano e che ben si capiscono. Ho iniziato il libro poco tempo fa e l'ho finito stamattina, sdraiata sotto a questo sole caldo, circondata da fiori, insetti e voci lontane che arrivavano dalla spiaggia.
E' un romanzo bello, che a giudicare dal titolo si potrebbe immaginare doloroso: non è così.
Sì certo, c'è un lutto, c'è una lunga fatica, c'è lo sguardo pietoso, c'è la rabbia, c'è il vuoto, c'è la solitudine, c'è il caos, c'è il silenzio. Ma non è un libro di dolore, è un libro di dignità, un libro di semplicità.
Semplicity Semplicity Semplicity, come diceva il mio amico Thoreau.
E allora, come faccio quasi sempre, lascio parlare un poco direttamente le pagine, chi meglio di loro sa come presentarsi?

"Se ti allontani abbastanza da un avvenimento, è come se si appiattisse, per così dire, si amalgama con il paesaggio circostante"

"Un tempo mi piaceva pensare che quando moriamo scopriamo finalmente il senso della nostra vita. Non avevo mai immaginato che si potesse scoprirlo alla morte di qualcun altro"


"Le persone che non avevano ancora avuto un lutto mi davano l'impressione di non essere davvero adulte"

Ci sono i brani di cui ho già scritto qui e ci sono le sensazioni che ognuno si scoprirà a riconoscere senza alcun dubbio tra quelle legate ad una perdita e sepolte per difesa in fondo al cuore.

E poi c'è l'ultima frase, nelle ultime righe, dell'ultima pagina, ma quella non la rivelerò, vale la pena leggerlo tutto e ritrovarsi nelle discussioni di coppia, così ripetitive e così inutili, rivedersi tra gli scaffali vuoti e profumati di vernice fresca, sedersi in giardino a guardare l'erba che si bagna contro luce, camminare per le strade della città sperando di rivedere il volto amato tra quelli del resto del mondo.



venerdì 6 giugno 2014

Tutto giusto

Il mio oggi è questo: è un poster ritirato dal corniciaio e che mi ricorda una mattina speciale, è un gruppo di bimbi attenti che ascolta racconti su patate e pomodori, è una colazione colorata di azzurro, è un prosecco preso al volo tornando a casa, è una buona dose di letto, è un budino al cioccolato con i biscotti all'uvetta e melograno, è questa poesia qua:

Tutto sbagliato

E fu così che ci trovammo
nel posto sbagliato
al momento giusto
o forse
era il posto giusto
al momento sbagliato
con tutta probabilità
era tutto sbagliato
il posto
ed
il momento.

Erano sbagliati gli alberi e le strade
era sbagliato il cielo
ed il cemento
eri sbagliata tu
ero sbagliato io.

Sbagliammo il primo bacio
e l’ultimo
il primo appuntamento.
Il primo orgasmo fu sbagliato
e fu sbagliato il primo vaffanculo.
Fu sbagliato dirti t’amo
fu sbagliato dirti t’odio.

In realtà t’odio non te lo dissi mai
lo pensai
sbagliando.

Però sbagliò la luna ad esser piena quella notte
e a illuminarti il viso
sbagliarono i tuoi occhi ad esser belli in pianto
sbagliarono gli abbracci
quelli non dati
quelli dati
quelli non chiesti
quelli sperati.

E fu così che ci perdemmo
il sole sorse a ovest
abbaiarono i cavalli
i tassisti romani
offrirono un giro gratis
a tutti.

[Guido Catalano]

E se tutto procede come pensato, il mio giorno sarà anche un'ora di pilates, sarà un lungo viaggio in autobus con la musica nelle orecchie, sarà un fiore del mio giardino incantato, sarà una cena tarda nella cucina di mamma, sarà un libro bello e pieno di anima, sarà uno zaino per la gita di domani e sarà una notte con la gatta più buffa del mondo.
Tutto giusto.

domenica 1 giugno 2014

In my mind

Su questo scoglio non sto molto comoda.
Sono una donna da ciottoli io: la sabbia si infila dappertutto e la roccia è troppo dura.
Però oggi c'è il sole senza fare caldo, io sono riposata nonostante la notte quasi bianca e domani sarà un bel due giugno di prati, amici e tranquillità.
Contro ogni (stupida) tradizione personale ho fatto il bagno, il primo della stagione, lontano dalla mia spiaggia. Troppi scogli per nuotare, è bastata una "puccia" veloce per lavare via il sudore e sapere di sale. Di fronte a me c'è un ragazzo magro con gli occhi azzurri che ha paura delle lucertole, dietro invece c'è una coppia che legge all'ombra, abbracciata.
Anche io ho un libro, Guida rapida agli addii, e tra le pagine ritrovo passaggi che sono già stati nei miei pensieri:
"La lettura è la prima cosa che si perde" diceva mia madre, intendendo che era un lusso cui il cervello nei momenti difficili rinunciava. Sosteneva di non essere riuscita a prendere in mano niente di più impegnativo del giornale dopo la morte di mio padre.
Proprio come succede a me quando vado in crisi.
Non ho pranzato, piglierò un gelato grande sulla via del ritorno, quando percorrendo la passeggiata ripenserò allo spettacolo che ieri sera ho visto a teatro. Si intitolava (S)legati e raccontava la storia di Simpson e Yates. Io quella storia già la conoscevo, impossibile stare con Andrea e non conoscerla. Come impossibile è stato assistere allo spettacolo e non pensare a quei passi familiari davanti ai miei, quei passi ora lontani che tornano da me solo di notte, o che spuntano all'improvviso davanti alla copertina di un libro, all'annuncio di un concerto, alla foto di una vetta pubblicata sul giornale.
Tra un paio di settimane parto per San Sepolcro, mi hanno presa per il corso intensivo a cui avevo provato a iscrivermi. Comunque andrà mi sarò tolta da qui e avrò continuato ad alimentare la serenità che sto costruendo ogni giorno, lasciando perdere tutto e scegliendo me ogni volta che posso.
Non è facile, è innaturale e a volte mi pare persino disumano, ma che posso farci, funziona così dicono. Stare bene da soli si può e si deve e io, ahimè, sto finendo dritta dritta nel posto che pensavo, quello in cui non c'è più spazio per niente e per nessuno, quello in cui faccio tutto ciò che occorre, sorrido alla vita e alle fortune che ho, lascio passare i giorni così "i momenti più recenti possono sembrare molto, molto lontani".
Finalmente ci sono arrivata, no?
Non resta che farsi una doccia per togliere il sale e andare in turno, canticchiando questa meravigliosa canzone di cui ormai non posso proprio più fare a meno (video compreso), grazie Cindy!