martedì 17 giugno 2014

Una borsa a pois

Odio le partenze quanto amo i ritorni.
Che siano le mie o quelle delle persone a cui voglio bene, le valigie da preparare mi hanno sempre messo l'angoscia. Quante volte ho chiesto "l'hai già fatta la valigia?", quante volte ho scrupolosamente stilato la lista delle cose da portare, anche per un viaggio di due miseri giorni, con la netta sensazione che avrei comunque dimenticato qualcosa di assolutamente fondamentale.
"Fare le valigie" per me vuol dire andarsene, lasciare un luogo e le persone che lo abitano, abbandonare. Insomma...una tragedia.
Anche domenica scorsa, prima di varcare la soglia di casa con il mio orribile trolley marrone e il mio inseparabile zaino da trekking, l'ultima cosa che ho pensato (e pure detto) è stata: "io non voglio andare". Chissà poi perché, ho fatto domanda per il Training Camp, ho avuto tutto il tempo per pensarci, per ripensarci, per rinunciare, per non confermare la mia presenza e sono stata felice quando mi hanno avvisata della selezione e cominciato a fornire indicazioni per raggiungere questo posto disperso tra tigli in fiore, papaveri sbiaditi e girasoli ancora chiusi.
Credo che il problema, per lo meno per i viaggi che riguardano me, risieda solo nel momento della partenza. Una volta arrivata a destinazione normalmente me la godo, faccio amicizia con facilità, vago senza meta tra le strade del mondo nuovo, sfrutto con estrema serenità i giorni concessi lontano da casa e dalle sue innumerevoli inevitabili distrazioni.
Questa scuola, così difficile da raggiungere e ricca di lunghi momenti di studio, mi ha regalato molto tempo per stare con me, per guardare fuori da finestrini sporchi e traballanti, per dormire (scomoda) in una stanza immersa tra i tetti, per attraversare i vicoli di pietra mentre il sole tramonta, per leggere pagine su pagine nel silenzio della sera un attimo prima di scivolare nel sonno.
La connessione internet è debole, questo post forse uscirà solo una volta rientrata a casa, ma ora, mentre scrivo, si sentono i miei compagni ridere sotto alla finestra, i pensieri sono lontani e forse meno dolorosi del solito, la sensazione di aver scelto qualcosa per me, dopo tanti mesi di ufficio, mi fa stare bene e in pace con quella parte del mio cuore che ancora non si arrende a lasciare andare anni di studio, lavoro, tempo dedicato all'aggiornamento e timida passione per il piccolo, per lo sconosciuto, per il colorato, per l'ibrido...per tutto ciò che sta al confine, esattamente come me.
Al confine tra l'antico e il moderno, tra il vero e il falso, tra il bello e il brutto, tra il vicino e il lontano, tra me e il resto del mondo.
E così ieri mentre entravo nel museo delle erbe e venivo investita dal profumo forte e familiare dell'elicriso, ho pensato che è vero che "partire è un po' morire" e che mai come negli ultimi giorni la mia partenza l'ho associata a una morte che mi ha colto di sorpresa. Poi però, sotto a un soffitto di mazzi appesi a testa ingiù mi sono vista da fuori, contenta davanti a uno specchio screpolato, felice di aver trovato un posto mio, profondamente mio, in mezzo a cose che adoro ma dalle quali troppo spesso mi sento esclusa, dalle quali mi tengo lontana anche di proposito, come se non volessi disturbare, come se tra un decotto di malva e uno sciroppo di rose mi sentissi più sicura.
Alla fine è arrivato oggi, che abbiamo cominciato con gli strumenti, che non mi ha risparmiato nulla sulla consapevolezza della mia ignoranza in certi argomenti, ma che mi ha anche mostrato quanto invece sotto tanti altri aspetti io sia inconsciamente preparata e pronta al ragionamento. Non lo credevo, non lo sospettavo nemmeno forse, perciò per festeggiare ho pensato che l'unica cosa possibile da fare fosse comprarmi (qui) una borsa di plastica rossa, a pois.

Nessun commento:

Posta un commento