giovedì 16 ottobre 2014

Postcard from Italy

"Siete davvero sicuri che un pavimento non possa essere anche un soffitto?" Diceva Escher. E lo dico anche io.
Una delle ragioni per cui patisco l'immobilità, il non andare mai in viaggio, il rimanere sempre ancorata nello stesso posto, deriva proprio dal bisogno di verificare che il pavimento possa essere anche un soffitto. Cambiare il punto di vista, guardare il mondo da un'altra prospettiva, mettersi a testa in giù, sotto sopra, per poi tornare a casa. In questi giorni a Roma, ufficialmente per un convegno che promette grandi cose, voglio provare a muovermi tra mostre, negozi, strade, con l'unico obiettivo di vedere quello che c'è. Oggi in treno ho viaggiato benissimo, la stanza dove alloggio è piccola, semplice e silenziosa e per arrivare in centro mi spetta una passeggiata tranquilla di una quarantina di minuti. Che camminare mi piaccia è cosa nota, così come è cosa nota che il mondo dell'arte si spartisca con quello della natura buona parte del mio cuore. Quindi, appena arrivata, giusto il tempo di lasciare la valigia e controllare la cartina, mi sono fiondata a passo spedito lungo Via Cavour, ho attraversato la zona dei Fori (dove domani e sabato trascorrerò buona parte del mio tempo) e sono andata al Chiostro di Bramante a vedere la mostra di Escher. L'anno scorso nello stesso posto avevo visto Bruegel ed ero rimasta incantata dal luogo prima ancora che dall'esposizione. Questa volta la sensazione è stata la stessa: così stritolato dal centro storico si nasconde uno spazio ampio, elegante, misterioso, dal quale guardare il cielo con un punto di vista completamente diverso, proprio come piace a me.
La mostra è bellissima, ricca di opere, interattiva, con audioguide gratuite e un percorso appositamente pensato per i più piccoli. Non so dire quanto io sia rimasta là dentro, davanti alle geometrie impossibili, alle sequenze infinite di pesci, uccelli, scale e triangoli, sicuramente più di un'ora. Quando sono uscita stava venendo buio e sono finita di nuovo e magicamente in mezzo al momento in cui si accendono i lampioni. Ho fatto un giro in Piazza Navona dove una ragazza suonava l'arpa, un signore anziano cantava Caruso, il solito indiano arancione fluttuava a un metro da terra, un uomo teneva un mazzo di palloncini attaccati alla lunghissima lenza di una canna da pesca e un ragazzo in cravatta lanciava clave infuocate verso il cielo. Mi sono seduta davanti a un piccolo locale con l'ingresso ricoperto di lucine accese e ho ordinato uno Chardonnay Bio del Lazio, ho bevuto con calma, spiluccato dal piattino di bruschette, olive e insalata e poi, sulla via del ritorno, ho preso un gelato.
Confesso di essermi regalata pure un taxi, la strada era lunga e devo farla almeno ancora una volta se non voglio ritrovarmi al buio, col telefono scarico, dall'altra parte di Roma.
Quindi ora, dal letto della mia piccola camera, con l'abat-jour accesa e le salamandre attorcigliate di Escher che si rincorrono nella mia testa, scrivo e guardo la TV, quella TV che non possiedo da quasi cinque anni e che stasera, ironia della sorte, passa un film demenziale su una ragazza sempre invitata ai matrimoni degli altri e mai protagonista del suo. Punti di vista.
Dalla finestra davanti a me vedo altre finestre illuminate, poco fa a sinistra mangiavano attorno a un bellissimo tavolo, al piano di sopra solo gerani e a destra scale, scale e ancora scale come nelle stampe di Escher.
Chissà se domani riuscirò a vedere un'altra mostra o, stancata dal convegno, verrò solo a mangiare una montagna di cacio e pepe nella piccola osteria qua sotto. Di sicuro ci sono almeno altre quattro esposizioni che meriterebbero una visita, ma come ho scritto all'inizio del post sono "qui con l'unico obiettivo di vedere quello che c'è".

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