giovedì 6 novembre 2014

La notte dei morti viventi

Questa notte ho fatto un sogno e quando alle 4.26 mi sono svegliata avevo le unghie piantate nei palmi delle mani.
Poi uno dice "sei contratta".

Ho sognato che era inverno, nevicava e con mamma andavo alla Cresima del fratello piccolo di una mia amica di infanzia (in realtà, ormai, lei non è più un'amica e suo fratello non è più piccolo). Prima della cerimonia ne approfittavamo per andare a cambiare i fiori sulla tomba di mio nonno, nel minuscolo cimitero di paese. Entravo io, attraversavo questo posto in bianco e nero, dove le croci di marmo si intervallavano alle betulle spoglie, cariche di neve bianca e di segni scuri sulla corteccia. Scendevo lungo la scarpata scivolosa e, attorno a me, c'erano decine di persone sepolte in verticale, fino a metà schiena, vive. Ricordo che provavo angoscia ma continuavo a camminare, superavo una signora con il maglione di lana fuxia e i capelli biondi, fresca di parrucchiere, che borbottava qualcosa immersa nella terra fredda.
Una volta arrivata vicino alla tomba di mio nonno vedevo che i morti erano sdraiati sopra i cumuli di terra, con le dita incrociate sul petto e i vestiti un po' sporchi ma intatti. Non so, forse pensavo che fosse normale "sepellirli" così, non mi facevano troppa impressione. Controllato il vasetto di erica un po' secca tornavo indietro, ma venivo attirata da una cosa, appena intravista con la coda dell'occhio: il signore sdraiato dietro a mio nonno stava respirando. Piano piano, senza quasi fare rumore. Cominciavo a correre, cercavo di risalire la scarpata scivolosa e piena di neve puntellandomi con piedi e mani, arrivavo all'entrata con il cuore in gola e avvisavo mia mamma e il custode.
A quel punto scendevamo tutti e tre, li portavo laggiù, tra i cadaveri sdraiati e mostravo loro il signore che respirava, nel suo golfino bordeaux. Mentre il custode, un uomo magro di origini marocchine con la faccia grigiastra e silenziosa, aiutava quel morto a mettersi seduto, mio nonno muoveva un braccio e tirava un respiro profondo: si stavano svegliando tutti.
Io ero spaventata, confusa, sbalordita, mi guardavo intorno senza riuscire a dire nulla...Fino a che un pensiero improvviso mi attraversava la mente: mio padre. Cominciavo a cercare tra le targhe, agitata, speranzosa, terrorizzata, vagavo guardando tra i vestiti e ad un tratto, nella sua tuta verde bosco, vedevo una schiena rivolta verso il muro e una mano incerta che si grattava la nuca. Lo avevo trovato ed era vivo anche lui.
Mi inginocchiavo vicino a quel mucchio di terra umida e gli accarezzavo il viso stordito. Gli chiedevo se si ricordava di me, lo guardavo negli occhi e cercavo di capire se mi riconoscesse, piangevo e sussurrando verso il cielo dicevo: "Perché?".

Persino rileggendolo, a mente più o meno fredda, mi si piantano le unghie nei palmi delle mani. Mille emozioni, compresa la più pesante, quella che si chiede perché devo ricominciare da capo? Perché proprio ora che mi pareva di aver superato tutto lui torna per poi andarsene di nuovo?
Soprattutto considerando che quando mi sono svegliata stavo cantando questa, che racconta di cieli bianchi e grigi, di cuori rotti, di cose da bruciare:
...when you or I would leave
and the other would stay
...

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