martedì 25 febbraio 2014

Il mio spazio bianco

Di Valeria Parrella ho letto da poco anche Tempo di imparare. Bello, doloroso, intenso, a tratti difficile, vero. Una sberla, un riconoscere dinamiche viste tante volte con i bimbi più fragili, con i genitori dispersi, con le famiglie appese a una diagnosi e a un futuro inciampato.
Stasera però vorrei scrivere di Lo spazio bianco, centododici pagine di cui non si può più fare a meno dopo la terza, forse pure dopo la prima.
Scopro ora che ne è stato fatto anche un film, con la Buy che a me piace tanto e che effettivamente si riesce a immaginare proprio bene nei panni dell'insegnante di italiano della scuola serale, donna, madre, donna-madre anzi, che si ritrova sola davanti ad un'incubatrice, ad una domanda sempre uguale e ad una giostra di occhi, attese, visite, odori, sigarette e consensi informati che solo chi ha visto può capire.
Come sempre un libro ci colpisce quando parla di noi, o quando, in qualche modo, riesce a far vibrare una nostra paura, un pensiero che abbiamo nascosto, un desiderio sepolto sotto il buonsenso, un ricordo che pareva cancellato.
Ci sono molti passaggi ben scritti, lo stile dell'autrice è strano, diverso da tutti, familiare quanto particolare, come se fosse un misto di pensieri conosciuti e di dichiarazioni sintatticamente perfette.
Come sempre quando scrivo di un libro che ho letto lascerò "parlare" qualche pagina mangiata qua e là, rimasta segnata dalla matita e riletta una, due, tre volte.

La testa si era esercitata così, a fidarsi solo di se stessa. E allora ritornava nell'equivoco di bastarsi da sola ogni volta che si sentiva tradita dalla realtà
Questo brano era il P.S. dell'ultimo post, sta nella prima pagina e basta a farti andare avanti senza un minimo dubbio.

Niente è stato più completo e libero della mia solitudine nella mia casa
Una cosa a cui ho pensato e penso spesso, quando cucino una cena tranquilla, con la radio accesa, le luci basse e la stanchezza per la giornata appena trascorsa che comincia a farsi sentire.

Io possedevo da sempre un'arroganza di fondo. Quell'arroganza mi era venuta dalla fabbrica. Dalla sua catena di montaggio uscivano due modelli che si sviluppavano insieme e si intrecciavano senza darsi noia. La fabbrica non inghiottiva solo chi ci lavorava, ma anche chi campava di essa, chi aspettava la fine dei turni e le sirene per costruirci attorno la giornata, una giornata dopo l'altra. Crescere figlia di operaio negli anni Settanta e poi proprio per questo studiare, intestardirsi sui libri, diventare la generazione dello scarto intellettuale, erano cose che davano una certa arroganza. Perché a vedermi da fuori io lo sentivo, di essere la prima persona della famiglia che non avrebbe avuto le braccia corrose dal succo di pomodoro
Qui c'è molto di quello con cui ho fatto i conti crescendo, mia mamma e i discorsi sull'indipendenza e le difficoltà della sua generazione ricalcano molto da vicino le parole del libro.

Non sono buona ad aspettare. Aspettare senza sapere è stata la più grande incapacità della mia vita. Nell’attesa ho avuto lo spazio per costruire enormi impalcature di significato, e dieci minuti dopo farle crollare, per mia stessa mano. Poi riprendere da un punto qualunque, correggere il tiro di qualche centimetro per rendere la costruzione immaginata più solida. Vederla crollare di nuovo. Ho speso svariati fine settimana della mia vita in quest'opera, e pur riconoscendola, non ho mai saputo distrarmi. Ho sentito la tragedia dell'attesa arrivare da lontano da una telefonata, da un viaggio, da una mail, da una notte di sesso, da un ospedale. Ho scelto dal mio arsenale di dischi la musica che incalzasse l'angoscia, quella per stemperarla, poi più che piangere: per sfinimento mi addormentavo. Nell'attesa ho sempre fatto sogni chiari, di epoche che non ho dovuto conoscere né attraversare, il sogno è stato il tempo speso meglio, e una volta sveglia il dolore era decuplicato. Io non so aspettare e non voglio farlo, nell'attesa i mostri prendono forma e si ingigantiscono, mangiano le ore per crescere e mangiarmi. Non sento curiosità nel dubbio, né fascino nella speranza, fossi stata Eracle, non mi sarei fermata al bivio.
Uno dei passaggi più vicini al mio modo di vivere le attese, gli spazi bianchi.

Con le cose buone della vita io non ero mai stata indulgente. Forse credevo di più alle sconfitte, sapevo affrontarle meglio: erano come le temevo, cioè come le avevo immaginate. Intorno alle cose buone facevo dei lunghi giri larghi tenendo sempre gli occhi altrove.
Inutile dire che l'approccio del mio cervello è pressappoco identico, chi mi conosce un po' lo sa bene!

Ma sentivo che l'errore c'era comunque: a sposarsi e a restare soli, a fidanzarsi e ad amare, a innamorarsi e a sostenersi, a sfidarsi, a vincere e a perdere, a proteggere e a farsi proteggere. E io non sarei mai stata pronta a difendere nessuna di queste cose.
Ecco, devo dire che qualche miglioramento credo ci sia stato, ma di fondo direi che le mie difficoltà sono parecchio comparabili a queste. Non penso certo di essere l'unica, anzi, credo che molti potrebbero pensarla esattamente così.

Ok, è passata la mezzanotte da un po', tempo di leggere la prima pagina di un nuovo libro e poi spegnere la luce.

P.S. Foto del vicino-vicino, io nel mio spazio bianco.


sabato 22 febbraio 2014

I've got you under my skin

Da quando mi sono dottorata ho ricominciato a sognarlo tutti i giorni, mio padre.
Era parecchio che non mi accadeva, al massimo qualche comparsata a sorpresa nel mezzo della notte, ma mai una dormita intera in sua compagnia.
Facile immaginare che la sua mancanza, accanto a mamma, nell'Aula Magna del Dipartimento di Chimica si faccia sentire quando la mente si stacca (o per lo meno ci prova) e il subconscio prende il timone della mia vita. Poi però, se mi fermo a riflettere, so che lui comunque non sarebbe mai venuto alla discussione della tesi, al massimo sarebbe rimasto a casa a preparare i gamberoni sfumati al cognac e la salsa rosa con il rosso d'uovo sodo passato al colino, con la gatta a sonnecchiargli accanto.
In questi giorni ho fatto un sacco di cose: ho cominciato a preparare le lezioni per gli studenti, sono andata in palestra tre volte, ho ripreso a scrivere con costanza, ho iniziato un libro nuovo (già bellissimo, se ne riparlerà), ho caricato un mio articolo qui, mi sono ubriacata, ho fatto le ore piccole e sono andata a letto presto. Ieri A Casa di Cindy è uscita la wishlist e con mamma si comincia a pensare seriamente alla Tour Eiffel e a come sistemare la nostra piccola Batman (in foto).
Oggi c'è un bellissimo sole, il mare sembra di metallo e fa male agli occhi guardare fuori dalla finestra, ma qui a Vesima lo stiamo lo stesso facendo tutti. Nel sogno di questa notte io e papà discutevamo, la bara chiusa in soggiorno proprio non la volevo: "portatela via, non la voglio vedere, non ci voglio pensare", "non posso mica prenderla io, ci sono sdraiato dentro!". Per fortuna che l'ironia non gli manca mai, anche da morto e anche in sogno.
Febbraio è quasi finito, in arrivo compleanni importanti e voglia di primavera, di camminate, di luce e di aperitivi all'aperto.
Ci sono piccole cose belle che ruotano veloci intorno a me, sempre più tranquilla, sempre più serena, anche davanti a situazioni che solo pochi mesi fa mi avrebbero spaventata a morte. Gli incoraggiamenti terapeutici a prendermi cura dei miei spazi, del mio tempo, mi spingono a continuare così, in un mondo che non mi vede al centro ma mi mescola alla perfezione con tutto quello che lo abita, musica compresa.
La canzone di febbraio, per mille motivi, è questa:
Your hand in mine (Explosions in the sky)

P.S. Un assaggio dal libro che sto leggendo, giusto per farvi venire la voglia:
"La testa si era esercitata così, a fidarsi solo di se stessa. E allora ritornava nell'equivoco di bastarsi da sola ogni volta che si sentiva tradita dalla realtà"
(Valeria Parrella, Lo spazio bianco)

martedì 18 febbraio 2014

QB: sei amici, tre giorni e un botto di neve.

Non posso farci nulla se da quando ho deciso di istituire la "rubrica" QB (Qualcosa di Bello, Qualcosa di Brutto) non fanno altro che capitarmi cose meravigliose. Una di queste è fresca fresca, come la neve caduta a La Magdeleine.
Non andavo in vacanza con gli amici dal 2009, salvo una capatina di un weekend con Sturm, un paio di anni fa. E ne avevo bisogno, parecchio.
Reduce dal delirio dottorato e da un anno complicato per quanto riguarda il mio equilibrio, sono partita con una borsa di scarponi, pile, maglie termiche e voglia di ridere senza pensieri. Un'auto da sette posti, dodici gambe, un'autoradio, un paio di sci sul tetto, un barattolo di ragù, due frittate, mille biscotti, una torta, un contenitore di zuppa di ceci, due teglie di gnocchi alla romana, un barattolo di cioccolata spalmabile, un ciuffo bianco, dei piedi da modello (di piedi) e una cascata di riccioli di tutti i colori.
Direzione Val D'Aosta, intenzione relax.
In viaggio con me il vicino-vicino, i vicini fotografi matematici pasticceri e gli sposi bellissimi dell'anno scorso (questi).
Le canzoni di Elio, la temperatura che scende pian piano, la neve che aumenta a vista d'occhio. Arriviamo a La Magdeleine incredibilmente senza pause pipì, i tetti sono coperti di bianco per un metro almeno e raggiungere la porta significa affondare nella neve, entrare in casa vuol dire restare con la giacca fino a che i cinque gradi dentro non cominciano a salire un poco, cenare diventa scaldare la zuppa e una teglia di gnocchi, divorare la frittata superstite (i porri sono periti al confine col Piemonte), scolare una bottiglia di rosso.
Partita a Dixit e tutti a nanna, che il giorno dopo si cammina e si scia.
Il sabato dal tempo incerto e le temperature alte lo passiamo immersi in sentieri di neve e sulle piste da sci, ci mangiamo la polenta, perdiamo soldi e berretti, prendiamo la seggiovia, l'ovovia e la galleria, facciamo la spesa, cuciniamo la salsiccia e la seconda teglia di gnocchi, giochiamo a un gioco nuovo che non ricordo assolutamente come si chiama ma so solo che Balletti ha perso e che io non ho capito come funziona e andiamo di nuovo a dormire, nel silenzio totale della neve.
La mattina fiocca, restiamo al caldo a leggere, a rincoglionirci con l'Ipad, a mangiare le tagliatelle e a gasarci come matti per le terme in arrivo, partiamo subito dopo pranzo alla ricerca dei formaggi d'alpeggio da portare a casa e con un anticipo mostruoso ci fiondiamo all'entrata di quella meraviglia che sono le Terme di Pré Saint Didier. E da lì sono piscine calde, saune profumate, torce a bordo vasca, musica sotto il pelo dell'acqua, grissini al cioccolato, accappatoi fregati al primo tuffo, materassi morbidi, caminetti, ghiaccio, sale, fieno e mele renette.
Il ritorno è rilassato al limite del coma, solo le minacce della Fra al guidatore assonnato echeggiano nel buio, arriviamo a casa che la strada è piena di neve e abbiamo giusto la forza di metterci a letto.
E poi è notte azzurra, di luna, di sonno, di bellezza.
Ci si sveglia con la voglia di restare, di fare gli scemi ancora un po', di respirare l'aria fredda e di guardare tutta quell'ovatta bianca che ricopre e silenzia ogni cosa.
Si parte, si canta, si arriva.
Ed è bello così.



lunedì 10 febbraio 2014

Artefatti proiettivi e altre storie

Fatevene una ragione, gente. C'è gioia qui.
So che non ci siete abituati e nemmeno io se è per questo, però è così, accettiamolo. In questo periodo sono felice. Punto esclamativo.
Merito degli scalini superati forse, merito delle cure che mi concedo senza pensarci troppo, merito del tempo un po' più libero (da impegni, seghe mentali, paure e ansie varie ed eventuali), merito dell'affetto che sento e che ricevo...qualunque ragione ci sia, sto bene.
Non sto "normale" come rispondevo ormai da anni, né sto "abbastanza", sto bene. Non etichetto questo post QB per una questione di pudore, pensata una nuova rubrica non è che la posso propinare ogni volta, però devo ammetterlo, questi giorni sono Qualcosa di Bello davvero.
Due libri meravigliosi letti in un fine settimana, una sera di chiacchiere e dolcezza, una mattina in un posto che la foto quassù rende un decimo della realtà, una pizza con mamma gatta e cucina scaldata dal forno, una vacanzina super meritata in vista, una notizia potenzialmente terribile che diventa bellissima nel tempo di una frase ("è tutto a posto, signora").
I libri che ho letteralmente inghiottito sono Ragazzo Selvatico di Paolo Cognetti e Tempo di Imparare di Valeria Parrella. Così diversi, così intensi. Luoghi meravigliosi, natura, odori, suoni e libertà nel primo, paura, fatica, speranza, amore e delicatezza nel secondo. Il risultato è che oggi sono corsa di nuovo in libreria e mi sono portata via altri scritti di questi autori e due nuovi titoli che si vedrà.
Per quanto riguarda la mattina di ieri, beh, solo un elenco mi può aiutare un poco a descriverla...eccolo qui:
- Un sentiero che sale, sale, sale, tra mille tornanti, rami secchi, erba alta e acqua che scorre
- Le prime chiazze di neve, riparate dal sole, con le orme di un uomo, di un cane, di un capriolo
- Il paesaggio che cambia, aprendosi all'improvviso e mostrando nuove vette, punte bianche, spalle brulle
- Qualche pino malato, qualche croco coraggioso
- Il vento sulla costa, che ghiaccia il sudore e fa venire la pelle d'oca
- La nuova salita, l'ultima, che sembra non finire mai e spezza la schiena (la mia, in verità!)
- La sosta sul prato, sotto la cima, nella luce, accanto alla neve, di fronte al mare, a piedi nudi e con i sorrisi stampati in faccia
- La partenza tra gli alberi bassi circondati dal bianco (quelli in foto) e illuminati dal sole
- Il sentiero che sparisce e diventa una pietraia
- I balzi sulle rocce, le scivolate, i licheni dai cerchi concentrici, le mani che odorano di palude e i passanti perplessi
- Una parola che scalda il cuore dopo un percorso faticoso per la concentrazione ma bello assai
- Il sentiero nel bosco tra muschi, ripari e alberi alti
- La discesa che picchia sulle ginocchia e ci mostra la valle buia sull'altro versante
- Le tracce dei cinghiali e lo stomaco che brontola per la fame
- La macchina azzurra che ci aspetta e mille gatti sulla strada di casa

Buonanotte felice

sabato 8 febbraio 2014

QB: PHD

Oggi primo QB, tentativo numero uno di mettere in pratica l'idea di postare, ogni tanto, Qualcosa di Bello e Qualcosa di Brutto. Si capisce già dalla foto quale sia il lato della medaglia di questa partenza: come potrebbe essere Qualcosa di Brutto??? E poi, chi mi legge e segue le vicende ben poco varie della mia vita, sa che giorno è oggi.
The day after.
Oggi è il giorno dopo.
Oggi sono dottorata.
Echissenefrega.
Perché in realtà ciò che è cambiato e cambierà è che nel mio cervello aleggerà un'ansia in meno, che le uscite economiche diminuiranno (basta tasse universitarie), che sul mio curriculum si aggiungerà un titolo. Tutto qui.
E non è poco, lo so, è un traguardo raggiunto tra sacrifici, dubbi, paure, frustrazioni e, in proporzione, poche soddisfazioni.
Allora cos'è questo Qualcosa di Bello?
Qualcosa di Bello è la giornata di ieri, iniziata all'alba perché di dormire non se ne parlava proprio, doccia, vestito nuovo, tesi verde, cappotto rosso e rossetto fuxia. Colazione al solito posto con girella, caffé e "in bocca al lupo, bimba", ombrello trasparente sotto al diluvio, bus strapieno, cravatte e Aula Magna.
Il resto è stato semplice ed è stato Qualcosa di Bello. Perché la commissione la tesi l'ha letta (davvero), perché ha preso appunti mentre spiegavo, perché ha sorriso davanti alle slide colorate quanto me, perché mi ha posto domande intelligenti, perché ha fatto considerazioni giuste, anche dure magari, ma giuste. Per una volta.
Per una volta sono stata vista nella fatica di parlare una lingua diversa, sono stata compresa nella difficoltà di un lavoro ancora poco capito, sono stata spronata a non arrendermi (e questo non lo posso proprio garantire).
Di sicuro per me ieri è stato Qualcosa di Bello, come la battuta dell'ultimo commissario "E ora ci dica la cosa più importante signorina: chi è questo Andrea?", come la primula bianca di Anna, piena di affetto, come il pinot grigio bevuto al volo con il tutor dopo la discussione, come la telefonata orgogliosa del co-tutor, come la stretta di mano della coordinatrice, come le foto della Vale, come mamma seduta tra il pubblico, come papà seduto tra i miei pensieri.
Ieri sono stati belli anche il male ai muscoli, il sonno boia, i messaggi degli amici, la grigliata di selvaggina, le chiacchiere e i sorrisi sinceri. Ma l'aspetto più bello di tutti è che Qualcosa di Bello rimane ancora oggi: c'è la gatta sulle mie ginocchia da stamattina, ci sono i libri nuovi da leggere, c'è la coperta, ci sono i biglietti del festival di montagna, c'è il dopo cena davanti a una birra e c'è pure un sorriso abbozzato su questa faccia ultimamente sempre pallida e stanca. Io, che i ringraziamenti nella tesi non li ho messi, scriverò a tutti uno per uno, e le persone che dimenticherò non si arrabbieranno perché sapranno di avermi aiutata.
Anche con un silenzio, uno sguardo, una zuppa, una porta aperta, un caffè, un bicchiere d'acqua, una cornetta sollevata, un commento qui sotto.
Grazie.




giovedì 6 febbraio 2014

L'acquario

In questi giorni si parla di acquari, di giusta distanza (questa) e di ascensori che salgono e scendono obliqui.
Ho comprato quattro libri, non tutti per me in verità, ma tra gli sconti, la voglia di ricominciare a tuffarmi tra pagine e storie, il bisogno di passare direttamente a domani sera, non ho saputo resistere.
Sono andata per libri nello stesso modo in cui vado per cibo. Con la fame, quando mi accorgo di aver finito le scorte, di aver mangiato tutto quello che potevo e letto ogni cosa, comprese le etichette degli shampoo.
In realtà qualche cecio in dispensa, un po' di pasta nel barattolo e un paio di yogurt nel frigo c'erano ancora, come del resto, ad essere sinceri, non ho letto proprio tutto tutto, ma ci sono libri che vanno presi a pezzi, una pagina ogni tanto, un capitolo qua e là e io ora ho proprio bisogno di storie da divorare in una notte, di vite raccontate in duecento pagine e di personaggi nuovi.
In questo periodo sto seguendo blog interessanti, come questo e questo, trovando in quest'ultimo un sacco di spunti, sogni e letture stimolanti: uno degli acquisti di oggi arriva proprio da lì.
Da dietro il mio vetro spesso guardo gli altri che guardano me, immagino mondi miei di serenità e naturalezza, coltivo distacchi necessari, utili e (spero) definitivi, libero vicinanze spontanee, dolci e piene di tranquillità.
Ascolto il mio corpo parlare, senza ignorarlo come un tempo, lo curo con tutte le armi che ho mescolando la chimica alla corsa, la terapia al pilates, i lunghi sonni alle coccole, l'alimentazione attenta al vino buono.
Ho paura che il vetro si rompa e che tutto si mescoli di nuovo, temo confusione e dolore, ma quando mi rilasso, quando lascio andare le cose così come vogliono loro, allora tutto mi appare più facile, più mio, senza dovermi per forza arrendere alla freddezza, alla diffidenza, al rancore, ma semplicemente vivendo la vita. VIVENDO LA VITA. Cosa c'è di più banale? Cosa c'è di più difficile?
Sono tutti pensieri in libertà questi, mi rendo conto, sono le riflessioni che mi scopro a fare ad alta voce mentre preparo la cena o stendo il bucato, ma per me sono traguardi importanti, obiettivi che ho provato a raggiungere mille volte (in quanti post parlo di queste difficoltà???), motivi di frustrazioni grandi e di crisi lunghe e faticose.
Per questo mi piacerebbe inserire delle sane abitudini anche qui, qualche appuntamento fisso, come la canzone al mese che ho istituito con l'anno nuovo, un'idea che alleggerisca i toni, o che mescoli un po' le carte ogni tanto.
Ho in mente qualcosa in effetti, voglio pensarci ancora un po' su (magari questa voglia di novità mi passa, chissà) e non voglio decidere nessun calendario stabilito: nel mio nuovo acquario i tempi sono dilatati e pure parecchio casuali.
Per ora quello che so è che vorrei seguire il filo di un'idea che da qualche tempo mi si è attorcigliato a un dito, vorrei scrivere sotto al segno di QB, Qualcosa di Bello e Qualcosa di Brutto. Mi spiego meglio, in sostanza quaggiù non cambierà nulla, ci sarà solo un'etichetta in più, ma mi piacerebbe raccontare con cadenza più o meno regolare un'esperienza piacevole e una negativa, provando ad analizzarle nelle loro caratteristiche più visibili e pure in quelle più nascoste. Cosa rende una cosa bella o brutta per me? Senza limiti...potrà trattarsi di un piatto, di uno spettacolo teatrale, di un vestito, un libro, un film, un paio di orecchini, una domenica, una colazione o un concerto. QB.
Vedremo.




sabato 1 febbraio 2014

Silenzio stampa

Shhhhhhhhh
Come a volte (spesso) mi accade, quando devo leggere e scrivere parecchio per lavoro, non riesco né a leggere né a scrivere per piacere. Per questa ragione, posti come ilmareingiardino rimangono vuoti per un po'. In realtà, forse, i motivi sono anche altri, poche cose da condividere, molti pensieri da riordinare prima di tirarli fuori, scarsa necessità di mettere per iscritto la mia vita. Non so.
Sono giorni densi, pieni di scadenze, sono giorni un po' annebbiati e molto più semplici del previsto, sono giorni in cui per la prima volta nella mia vita faccio le cose senza una montagna d'ansia sulle spalle...e non ci sono affatto abituata.
Sono quindi giorni strani, che prendo un po' così, come vengono, che vivo cercando di arrivare alla sera con nuovi obiettivi raggiunti e un sorriso in più nato per caso. Dopo un paio di settimane (forse tre) di reclusione più o meno indispensabile sono uscita dalla tana: due turni Altrove, una cena con il vicino-vicino, persino un acquisto frivolo e colorato.
Tutto il resto è stato casa, ufficio, palestra e letto, con qualche meravigliosa parentesi su sentiero, tra cielo azzurro, vento forte e alberi solitari da amare alla follia. Come quello nella foto, alla fine di una strada in salita, davanti a un panorama da togliere il fiato, immobile e forte nella luce e nel sole.
Ancora sette giorni di power point da ripetere, abstract da correggere, articoli da mettere a posto e lanciare on line e poi, forse, avrò un titolo in più e un pensiero in meno. Cosa penso di questo percorso? Non lo so, è stato faticoso perché non retribuito, perché poco capito, a volte avvilito, a volte neppure considerato. E' stato un viaggio importante perché, come l'esperienza della ditta nata e morta in tre anni mi è servito a comprendere cosa non voglio per me, cosa sono in grado di fare da sola e cosa significhi dover sottostare alle regole, ai tempi e ai bisogni del resto del mondo, senza mai veder riconosciuti i propri sforzi.
E' stato però un viaggio in cui ho incontrato anche persone entusiaste, persone che hanno dato valore (e calore) al mio lavoro, anche quando ero io la prima a vestire tutto di nero, persone che sono riuscite a trasmettermi un po' di forza e di rispetto per i piccoli traguardi oltrepassati.
Quindi non me ne pento, forse non lo rifarei, ma, comunque vada la discussione, sono contenta di aver provato a seguire questa strada, appoggiata da chi mi ama e da chi ha sempre saputo vedere il buono che già esiste in ogni cosa, condividendo con me questa impagabile capacità.
Scrivo (e concludo) questo post, quindi, per giustificare un poco la mia latitanza, indubbiamente legata a questo nuovo e ancora poco accettato benessere, ma dovuta soprattutto al grande caos mentale che la conclusione di un dottorato di ricerca porta con sé, a cominciare da un frigorifero perennemente vuoto, per continuare con una cesta del bucato sporco che esplode, due vasi d'edera morti di sete e un blog un po' meno aggiornato.
A presto