sabato 28 febbraio 2015

Quello che non ho (più)

L'altra sera, nel dormiveglia, mi è capitato di pensare alle cose che avevo e che ora non ho più.
Che allegria, direte voi, ma non si tratta solo di perdite negative o definitive, anzi.
Non intendo ovviamente oggetti materiali, piuttosto mi riferisco a capacità, paure, sentimenti, attitudini, caratteristiche insomma che a un certo punto della mia vita ho lasciato indietro. A volte per cause di forza maggiore, a volte per disabitudine, a volte (anche se raramente) per scelta. Io sono infatti un'abitudinaria nata, chi mi conosce o anche chi semplicemente mi legge da un po' sa che ho, come tutti probabilmente, una serie di "riti" irrinunciabili dei quali non riesco proprio a fare a meno e che rappresentano per me una sorta di percorso segnalato, una strada di punti fermi in questa vita così tanto traballante.
Delle mie abitudini avevo scritto qui.
Dunque, l'altra notte, ho stilato mentalmente un elenco (le liste, altra mia fissazione!) dei "caduti", di quello cioè che si è perso per strada.
Stasera provo a riportarlo qui:
- La paura della penombra: quando ero piccola dormivo al buio completo, situazione che malgrado la consuetudine a me non ha mai spaventato. Anche crescendo ho sempre cercato la notte più notte possibile, il nero che più nero non c'è e ho sempre temuto la penombra. Negli angoli semi illuminati, nei punti schiariti da quelle odiosissime lucine degli elettrodomestici, io ho sempre visto il male. Il mostro. La bambina con i capelli lunghi spiaccicati sulla faccia. La morta con gli occhi bianchi. L'assassino con le forbici. Nel buio, se tutta questa gente c'era, io per lo meno non la vedevo. Venendo a vivere sull'Albero le cose sono cambiate, l'enorme lampione davanti alla mia stanza, infatti, non solo illumina a giorno il vicolo in cui abito, ma purtroppo nonostante le persiane chiuse e le spesse tende tirate la luce filtra in casa. Per non parlare del router che è talmente illuminato che a Natale potrei tranquillamente avanzare di fare l'albero. Dunque, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, la paura del non-buio l'ho lasciata indietro (e ne vado fiera!).
- Il fastidio per i ticchettii: Capitan Uncino me spiccia casa. Brutti ricordi di infanzia mi hanno sempre tenuta lontana dagli orologi che ticchettano. Soprattutto la notte. Ora, sempre a causa del mio trasferimento, ho imparato a convivere con un rumorosissimo e giallissimo orologio da parete, talmente molesto che si sente in camera da letto pur essendo appeso in cucina. Non è stato semplice accettarlo, figuratevi che i primi tempi lo staccavo tutte le sere e lo chiudevo in bagno, Poi, un po' per pigrizia, un po' forse per sfida, ho vinto io (o lui, dipende dai punti di vista).
- I baci estemporanei: quelli istintivi camminando per strada, o a cena con gli amici, o a colazione in silenzio, sulla nuca. Se c'è una cosa che mi piace è proprio quella, la certezza che prima o poi, nella giornata, un bacio arriverà. Quindi non sono particolarmente felice di questa perdita, ma per ora va così.
- La paura di parlare in pubblico: una cosa che da ragazzina mi terrorizzava. Non riuscivo nemmeno a telefonare in presenza di qualcun altro nella stanza, famigliari compresi. Questo ha fatto sì che alle mie lauree nessuno amico o parente entrò a sentirmi, così come alle conferenze e a tutte le occasioni più o meno formali e/o affollate dove mi è capitato di essere costretta a parlare. Perché all'epoca di costrizione si trattava. Poi ho letto libri, ho provato a concentrarmi sui concetti che volevo esprimere e non sulle persone sedute di fronte, sul mio lavoro che ci tenevo a divulgare perché meritevole e prezioso e nel frattempo l'abitudine ha fatto il resto. Ora i convegni non sono più un problema, non li faccio comunque volentieri e ogni volta che ne ho uno spero in una sincope dell'ultimo minuto, ma alla fine arrivo sempre in fondo.
- Pronunciare ad alta voce la parola papà: e questo mi sa che non mi capiterà più. Papà inteso come richiamo, come esclamazione rivolta verso il proprietario di questo appellativo. E' una vocabolo che ho perso e che mi manca.
- Scrivere a mano: e con questa triste "disabitudine" chiudo il post. A una cosa così brutta sto cercando di porre rimedio. Oggi, per esempio, ho frequentato un corso di Bella Scrittura, nel tentativo di recuperare quello che un tempo mi sembrava di saper fare pure discretamente. Da quando il mio diario cartaceo è diventato un blog le dita si spostano solo sulla tastiera e le poche volte che mi è capitato di buttare giù un post al volo, sul treno magari di ritorno da un viaggio, mi sono accorta di quanta fatica facessi a relazionarmi con la penna e con la mia stessa scrittura. Questo sabato di matite e inchiostro mi ha fatto benissimo e sono certa che presto potrò depennare l'ultimo punto dal mio (ennesimo) elenco.

P.S. Nella foto un acquerello giapponese ad opera di Simona Picciotto (ecco l'interno del biglietto), la mia insegnate di Bella Scrittura. Il corso si è tenuto da Papê, lo stesso posto dove ho seguito il laboratorio di legature semplici di cui ho scritto qui.

sabato 21 febbraio 2015

Papê

Questo post ha un prima e un dopo.
Ecco il prima

Da quando ho aperto la pagina Facebook del mio piccolo blog, ho cominciato a condividere vecchi post che quasi nessuno aveva mai letto (per lo meno a giudicare dagli accessi).
Quanto dolore, quanta sofferenza.
Non ricordo nemmeno di aver patito tanto in passato, e probabilmente la stessa cosa la dirò tra qualche anno rileggendo i post di questi giorni.
Da un paio di settimane, forse anche qualcosa di più, non sto bene. Fisicamente intendo.
Accertamenti in corso. Autodiagnosi senza speranza, come da copione.
Ma non è questo il punto.
Il punto è che mentre anni fa, davanti a vere o presunte malattie, mi sentivo persa e convinta di aver sprecato tempo prezioso, questa volta non va così.
Questa volta so che per lo meno ci ho provato. Ho vissuto quello che ho vissuto fino in fondo, senza limiti, senza barriere, per il solo gusto di farlo.
Mi hanno limitata gli altri, quello sì, tantissimo. Ma si sa, ognuno fa come può, sta a noi scegliere se fermarsi o andare oltre e io mi fermo spesso. Forse troppo, forse il giusto, ma sempre per aspettare qualcuno o qualcosa che resta indietro. Un amore, un'amicizia, un lavoro.
Non sono una persona particolarmente istintiva ma adoro vedere il mondo attorno a me con occhi curiosi, amo godere di quello che la vita mi offre, che si tratti di un giorno di sole, di un libro, di un tuffo in mare, di una notte a ballare, di un pomeriggio di chiacchiere, di una serata di sesso.
E quindi mi iscrivo a un corso di legatoria, mi imbarco in un nuovo ciclo di laboratori di robotica, dico sì a tutte le proposte di lavoro che mi passano a tiro, senza quasi considerare inconciliabilità di orari, argomenti e luoghi.
E sono davvero grata di aver così tanta voglia di fare e vedere.
Ecco il dopo
Oggi ho trascorso una giornata intera qui. Papê è un piccolo negozio delle meraviglie, dove trovano casa cose di carta, stoffe stampate, libri serigrafati, gioielli di cartone, maschere, poster, shopper dai disegni e dai colori meravigliosi. Papê è il classico mondo fatato per tutte le ragazze che da bambine si incantavano davanti alle cartolerie, che non usavano il quaderno nuovo per non sciuparlo, che tenevano la gomma pulita come una reliquia e che avrebbero ucciso per una scatola di Caran d'Ache acquarellabili. Quindi Papê è il classico mondo fatato per tutte le ragazze. Punto.
Nel negozio di Nora, però, nato da poco nel centro storico della mia città, non ci sono solo piccoli spettacoli da comprare. A proposito, a Natale è stato bellissimo contare, durante il mega scambio di regali con i Vicini avvenuto direttamente sul mio parquet, la quantità di sacchettini di carta beige che arrivavano dritti dritti da Papê, con il sottile logo geometrico stampato e i fili di rafia come chiudipacco. Dicevo, in questo spazio dalle pareti verde acqua non c'è solo un'intenzione di vendita, ma c'è anche una riflessione profonda e approfondita sulle realtà artigiane che vengono ospitate, sui prodotti proposti in estremo accordo con i produttori e con la linea di pensiero dei gestori, senza dimenticare mai la passione che ha spinto l'idea fino in fondo, fino alla realizzazione, addirittura fino a organizzare una serie di corsi handmade talmente bella che quando leggi l'elenco non sai davvero cosa scegliere.
Oggi io ho seguito il laboratorio di Legatoria semplice, e mi è piaciuto da matti. Nelle sette ore di concentrazione, cucitura, rifilatura, accostamento dei colori, ho quasi dimenticato Il prima del post e in questo periodo è davvero importante riuscire a scordarmi un attimo di me. Anche se solo per sette ore.
Ecco la ragione per cui mi sono iscritta anche al prossimo corso di Bella Scrittura, nel frattempo mi limiterò a contemplare i sette quadernini che ho costruito oggi, punti storti, nodi molli e pagine unte compresi.

venerdì 13 febbraio 2015

Anniversari (I see you but I don't see you)

Pochi giorni fa, su Il soffitto si riempie di nuvole usciva questo, portando con sé due "cose" che mi riguardano piuttosto da vicino.
La prima sono le parole.
La seconda è il mostriciattolo.
Iniziamo dalla prima.
In questa settimana Ilmareingiardino, silente nella sua sede naturale, è stato ospite di BoscoBlog (la foresta dei Blog amici che seguo sempre) sia qui sia qui. Da Cindy ho portato un po' di blues giapponese, mentre dall'Inventore s'è parlato della sconfinata passione per le piccole cose, che decisamente mi accomuna a molte delle ragazze di BoscoBlog. Tra loro ci sono per esempio Giui che la mattina guarda nel suo caffè, ci sono Gioistantigrammi e LaZappi, che sulle parole e con le parole "giocano" ogni giorno. Io vi consiglio di leggere il succitato post dell'Inventore di Mostri e andarle a conoscere tutte.
Quindi, per riprendere un poco il filo del discorso, si parla di parole. In una settimana ho scoperto grazie a Nuvolesulsoffitto che esiste un generatore automatico di parole (e ovviamente mi sono iscritta subito), che ci sono persone vicino a me che con l'uso creativo di poche parole o addirittura una sola esprimono la loro anima, e che un'unica immagine può racchiudere tutto il significato di una parola, anche complessa, in modo semplicemente perfetto. Quest'ultima cosa l'ho scoperta ieri sera, sfogliando il regalo di Marina. Mi aveva già parlato della sua folgorazione, di quando a Milano aveva trovato il Visionary Dictionary in libreria e non lo aveva comprato. Dopo varie ricerche on line è finalmente riuscita a recuperarlo e ne ha prese due copie. Una è per me.
In questo libro che, lo dice il titolo si deve vedere impossibile raccontarlo, l'autore delle illustrazioni disegna delle parole. Come nell'immagine che ho scelto per questo post i colori sono per lo più saturi, senza troppe sfumature, pochi fronzoli, minimalismo e tanti, tantissimi, pugni nello stomaco. Anche nei commenti qua e là, dispersi tra le tavole, ci sono momenti notevoli. Per esempio questo (affiancato al disegno della parola antitesi):

"I see you but I don't see you.
I'll give you a glimpse. I'll say it
and I won't, I'll leave you a guessing.
You leave a grey area between
you and the world."


"Vedo e non vedo. Lascio
intravedere. Dico e non dico, lascio
intuire. Lasci una zona d'ombra tra te e il mondo"

Marina Mander


C'è altro da aggiungere? Io dico di no. O meglio, quello che ho da aggiungere è qui sotto e ben si aggancia a ciò che ho scritto fino ad ora.

La seconda cosa che come dicevo all'inizio verrà fuori oggi è il mostriciattolo. Quello di cui parla Nuvolesulsoffitto è questo, e io (come tanti) mi sa che lo conosco.
Perché ne scrivo ora?
Perché è tornato, giusto in tempo per festeggiare il nostro anniversario.
E' un pochino in ritardo, per la verità, l'anno scorso a Febbraio ero già immersa tra le morbide braccia della chimica, però il periodo è su per giù lo stesso. A differenza delle puntate precedenti per ora ho io il controllo della situazione, ma ahimè non sempre. Mentre scrivo lo sento che vuole attenzioni e mi rosicchia pian piano la punta del mignolo e dell'anulare, come a dire "Ehiiii, guarda che sono qui eh!". Ma io lo ignoro, perché intanto lo so che se vuole uscire davvero esce. Eccome se esce. Magari dopo un'ora di pilates, acchiappandomi appena voltato l'angolo e costringendomi a piegarmi a libretto nella salita di casa, sotto lo sguardo dolce di chi mi conosce (e in silenzio non se ne va).
Potrebbe arrivare prepotente tra un attimo e concludere il lavoro togliendomi il fiato del tutto, visto che è da una settimana buona che mi fa respirare come un topo terrorizzato. Potrebbe svegliarmi in piena notte, approfittando delle rare occasioni in cui mi addormento. Potrebbe rubarmi la scena durante la presentazione della settimana prossima in università (no ti prego, quello no, non farlo) o potrebbe non arrivare mai. Potrebbe restare e lasciarsi comandare. Potrebbe accontentarsi di rubarmi solo un po' di fiato. Potrebbe fare o non fare un sacco di cose.
Ma io come so che è lui? Semplice: non lo so. L'istinto mi porterebbe a pensare alle peggiori malattie del mondo ma la ragione mi dice che lui si traveste, perché sa che è Carnevale e che mascherato fa ancora più paura. E poi se ceno tranquilla in compagnia bevendo un bicchiere di vino (magari anche due) lui si addormenta. E io respiro. Finalmente respiro e mi lascio andare, come in una vasca d'acqua tiepida.

Quindi alla fine eccole qui le due cose di oggi, le parole e il mostriciattolo. Il secondo uccide spesso le prime e questo spiega il mio silenzio di due settimane. Spiega le mie assenze in generale. Come in una morra cinese immaginaria mostriciattolo vince parole. Per adesso.

P.S. Il libro in questione è Visionary Dictionary, Beppe Giacobbe from A to Z (Lazy Dog Press).