sabato 28 marzo 2015

Gli Argonauti

Colonna sonora
Non ho mai saputo giocare a scacchi.
Da bambina provavo le partite contro il computer e, naturalmente, perdevo. Ogni tanto sfidavo mamma e anche in quel caso non c'era verso di capirci qualcosa. Non ho mai saputo giocare a scacchi, ma gli scacchi mi sono sempre piaciuti e mi hanno sempre affascinata moltissimo.
Amavo soprattutto l'alfiere e il suo movimento diagonale, lineare e sicuro, elegante e senza interruzioni.
Mi faceva invece paura la torre, con la sua forza, il suo incedere pesante e inesorabile, partendo anche da molto lontano.
Perché stasera scrivo di scacchi?
Perché ne ho parlato giovedì, quando ho cercato di spiegare come mi sento e come sto vivendo questo ultimo strano periodo.
Un lavoro che salta, una possibilità completamente inaspettata che arriva prontamente il giorno dopo ma che per ora resta solo una possibilità, i nuovi laboratori che mi appassionano, quelli vecchi che ricominciano a frullarmi in testa, un progetto Instagram praticamente al via, il post di Cindy, il tempo per me fatto di cura del corpo, analisi del sangue, cene buone e sorrisi.
E' come se stessi giocando una partita a scacchi, come se, molto lentamente, stessi aggiustando il tiro a ogni mossa della vita, senza però perdere mai. Non sto bene? Mi faccio controllare. Ci sono esami da ripetere? Nessun problema, approfondisco. Un lavoro non è andato in porto? Ne cerco un altro e annaffio quelli che già ho. Ho bisogno di aria buona e tempo libero? Ok, pic-nic in spiaggia e passeggiata accanto al mare. Un cambio continuo di rotta, un aggiustamento quotidiano che somiglia a una danza perfetta e silenziosa: taaac taaac, taaac taaac. Come una pedina degli scacchi, ma non come una pedina qualsiasi. Non sono sicura, non vado solo dritta, non mi sposto a L come il cavallo e non sono potente come la donna. Ho deciso che la mia è una pedina nuova, una pedina che non esiste: L'Argonauta. Che ha viaggiato con fatica, che ha cambiato strada mille volte, che si è persa in difficoltà e scoperte, che ha incontrato tempeste e lutti.
Così oggi, mentre cercavo tra me e me il nome del mio personaggio e camminavo verso casa, ho cercato nei passi di chi incontravo sulla via una specie di regola, un movimento caratterizzante, qualcosa che desse un ruolo ad ogni faccia che i miei occhi hanno incrociato.
Ho trovato la bimba sui pattini presa per mano dal babbo che ha corso con lei fino a spingerla dritta e lontana, la signora in pelliccia dal passo montano con le mani appese agli spallacci di uno zaino che nulla aveva a che vedere con il pelo di volpe del suo lungo soprabito, il neonato che rigurgitava in braccio alla mamma col passo spezzato dalla ricerca di un fazzoletto, i due fratelli in monopattino che si sono tagliati la strada a vicenda per tutto il tempo, i genitori del vicino matematico-fotografo che procedevano tranquilli e regolari per la loro strada, la madre simpatica che inseguiva correndo a zig zag i figlioletti piccoli e li minacciava di ricoprirli di baci.
Io ho solo camminato, camminato e camminato ancora. Ho fatto scale e salite quando era necessario, ho attraversato strade e piazze e mi sono fermata in un porto inondato dal sole, con il piccolo Martin che saliva e scendeva dallo scivolo, a passi minuscoli, e incerti.


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