mercoledì 30 settembre 2015

Caprioli e Capriole

Ho una lista dei desideri (dicesi wishlist) lunga tre chilometri, che parte dalle creazioni di Tulimami e arriva alla collezione di Lazzari (imperdibile come sempre), passando per l'adorato Flamingo e per gli scaffali di Maisons Du Monde e delle sue maledettissime Tendenze Vintage.
Però oggi è il giorno dei caprioli e delle capriole e non scriverne sarebbe un reato, l'elenco delle cose materiali (che più materiali non si può) che vorrei comprarmi o regalarmi o trovare sotto l'albero o nella cassetta della posta dovrà aspettare la prossima settimana.

Oggi, dicevo, è un giorno speciale, è una di quelle giornate da io di cui ho scritto l'ultima volta.
Sono fortunata, perché la bella sensazione di vivere esattamente come sono davvero sta continuando, anche se più faticosamente di prima.
Più faticosamente di prima semplicemente perché ci vanno di mezzo gli altri, ma fa parte del gioco e il prossimo obiettivo è quello di proseguire come se nulla fosse, scavalcando, aggirando, superando intoppi, richieste, blocchi e difficoltà. Sembra facile? No, non lo sembra e non lo è.

Comunque, oggi ho trascorso tre ore in una quinta elementare, dove ho portato uno dei laboratori sul riciclo dei rifiuti (in particolare di quelli RAEE) che sto facendo in questo periodo. L'attività che ho pensato, come al solito, non riguarda semplicemente la robotica, ma si sviluppa anche all'interno di altre discipline, una su tutte l'ecologia e in particolare lo studio della biodiversità.
Prima di affrontare questo argomento, però, ho pianto.
Che sarebbe arrivato il giorno della commozione in classe in fondo in fondo lo sapevo, che sarebbe arrivato oggi, invece, non lo immaginavo proprio.
Appena entrata i diciotto bambini seduti tranquilli a ferro di cavallo (evviva!) mi hanno accolta salutandomi e leggendo, ad alta voce, una ricerca fatta sull'Associazione dove lavoro. Sapevano tutto e sapevano anche il mio nome, hanno citato l'importanza dell'attività di gruppo e dell'impiego di materiali di recupero e hanno concluso dando il via ad una serie di domande. Ognuno mi ha chiesto qualcosa:
- Da quanto lavori nella robotica? Ti piace? Cosa è la robotica? E' difficile? Dove si trova il posto in cui lavori?
Io ero allibita, emozionata, avevo paura di tradire le loro aspettative, mi sembravano tutti più preparati e pronti di me.
Alla fine è andata benissimo: ho fatto una lezione meravigliosa, lo ammetto.

Abbiamo sviscerato ogni parola nuova, ogni vocabolo mai sentito prima, abbiamo cercato sinonimi e contrari e fatto decine di esempi. È facile quando sui banchi c'è un vocabolario, che gira gira gira, passando di mano in mano, di sguardo in sguardo, di voce in voce.
Il maestro ha chiesto ai bambini di raccontarmi cosa fanno quando scoprono una parola nuova: bene, mi hanno risposto che la ripetono, ne parlano, la usano tanto, la portano a casa. LA PORTANO A CASA.

Tra le presentazioni iniziali, così belle e spontanee che mi pare di aver imparato già i nomi di tutti, e la ricreazione in cortile, abbiamo osservato le caratteristiche degli animali presenti nel territorio dove i bambini vivono e dove vanno a scuola. Ghiri, lucertole, cinghiali, vipere, cormorani, cefali, aironi, rospi, salamandre, lepri e tanti altri, comparsi uno per uno sullo schermo del mio computer, guardati e commentati, raccontati e analizzati. Tutti hanno portato esempi, aneddoti e curiosità, alzando decine di mani, ponendo domande sincere e regalandosi(mi) dialoghi meravigliosi come questo:
- Che caratteristiche ha il capriolo?
- Beh, ad esempio salta!
- E cosa ci dice che salta?
- Il nome! Deriva da capriola.


Oggi avevo previsto anche di disegnare il progetto dell'animale da costruire e, eventualmente, di scegliere i materiali tra i tanti a disposizione: sono a malapena riuscita a terminare la carrellata di fotografie e a lasciare "i compiti" per la prossima settimana. Ascoltare le loro storie e accettare i loro pezzi di focaccia per merenda è stato più importante.

giovedì 24 settembre 2015

Una settimana da Io

Quella che è appena trascorsa dall'ultimo post pubblicato è stata davvero una settimana da Io.
Nel senso che tutto ciò che mi è capitato, tutte le giornate che ho attraversato, tutte le cose che ho fatto, mi hanno rispecchiata al cento per cento. Nulla mi rende più felice che essere me, contro tutto e contro tutti, senza fare errori giganti, senza dare troppo nell'occhio, senza restare al centro di niente, ma semplicemente andando per la mia strada. Quindi, forse, è il momento giusto per un elenco di quelli che tanto mi piacciono.

1) Un giorno e mezzo a Trento, davanti ai monti del cuore, nel silenzio, nell'aria fresca, nell'odore inconfondibile di cirmolo, leggero e nello stesso tempo intenso, attorno alla scultura in piazzetta. Un giorno e mezzo in questa città perfetta, due ore scarse di laboratori creativi per bimbi e genitori, due viaggi lunghissimi che hanno dato vita a un capitolo intero del libro. Quale libro? Quello che sto scrivendo, che anche se è per lavoro è un progetto bello, inaspettato, che mi obbliga a confrontarmi con le richieste degli altri, rimanendo fedele a me stessa. Prima o poi, racconterò tutto.

2) Una mattina a spasso per la mia città, in occasione dei Rolli Days, per entrare in luoghi visti sempre ma mai guardati veramente. Vicoli, strade, case, stanze, giardini, finestre, sale, affreschi, lampadari, quadri, ma anche farfalle cadute sul marciapiede e portate a spasso dentro Palazzo Reale, tranci di tonno alla piastra grossi come piastrelle, limonate fredde e telai circolari arrivati in tempo per l'autunno.

3) Un film bellissimo, Inside Out, che tanto mi ricorda questo post, perché altro non è che una vita di psicoterapia fatta a cartone animato; mi ha fatto piangere come mai (bugiarda, io al cinema piango sempre, e se non piango vuol dire che il film non mi è piaciuto!) e mi ha costretta a stare abbracciata a Salamino, il mio famoso cane di pezza, per una notte intera.

4) Due giorni di laboratori meravigliosi, la fase di partenza di un bel progetto, che ho costruito riflettendo molto, cercando di organizzare ogni cosa al meglio. Per ora mi sta dando enormi soddisfazioni, ma potrebbe essere altrimenti, quando passi intere mattinate a far lavorare ragazzi dalle vite un po' complicate, in classi con risorse scarse e tagliate da governi davvero per nulla lungimiranti? Magari trascorrendo minuti interi a costruire robot, disegnare idee e battere cinque alti? Io credo proprio che non potrebbe andare diversamente.

5) Due pomeriggi di francese, perché il mio corso intensivo non si ferma dinanzi a nulla, nemmeno davanti a due occhiaie che toccano in terra, un sorriso incerto perché metà del mio corpo vorrebbe dormire, un cervello talmente confuso da versarsi un bicchiere d'olio d'oliva al posto dell'acqua durante la cena a base di insalata marcia, dopo quattordici ore fuori casa e sette mezzi pubblici presi (per non parlare di quelli persi).

6) Una serata (questa in cui sto scrivendo) a casa di mamma, con gatta sulle ginocchia, riso e verdure per cena e tisana allo zenzero prima di dormire.

7) Un nuovo libro giallo che mi aspetta sul letto, perché, soprattutto in questo periodo che devo scrivere per forza, di leggere cose complicate proprio non se ne parla.

8) Un sabato di laboratori con i bambini che mi attende, perché ormai, se nel week end non lavoro, mi sento persa!

9) Una domenica di nanna, cucina e aperitivo di inizio autunno con gli amici, perché così sì che mi sentirò davvero a casa e che questa settimana lunga sarà sul serio una settimana da Io.

P.S. Nella foto il mio quartiere nel 1500 (dipinto nel 1800), scoperto con stupore nel giro dei Rolli Days (prima della farfalla, del tonno e della limonata).



giovedì 17 settembre 2015

Cinque funerali e un matrimonio

L'autista del matrimonio dei miei genitori era senza gambe.

In un certo senso questo post potrebbe pure finire così, un incipit del genere sarebbe più che sufficiente pure per aprire e chiudere un romanzo.
In realtà credo andrò avanti, anche se è giovedì e sono molto in anticipo rispetto al solito. Domani però parto per Trento in "missione laboratori" e la domenica la vorrei dedicare a scrivere per lavoro e a riposarmi: sono giorni pieni di cose e di pensieri, è necessario trovare tempo per me, per una camminata, per un libro, per un'ora di coccole al mio corpo sempre più stanco e sempre più diverso da come lo ricordavo.

Quindi, dicevo, l'autista del matrimonio dei miei genitori era senza gambe. Se avete messo su la stessa faccia inebetita che ho fatto io quando mia madre mi ha raccontato questa cosa non sentitevi soli: è normale. Naturalmente la prima domanda (anzi, la seconda, subito dopo a "Ma mi pigli per il culo?") è stata: "ma come faceva a guidare?". Semplice, con i comandi manuali.
Appurato questo dato importante, ci sono un sacco di altre notizie interessanti sul matrimonio che mi ha dato i natali. Vediamo di analizzarle, anche perché probabilmente si spiegano tante cose.

Oltre all'autista dimezzato, meritano una menzione speciale gli invitati. 11 (undici). Sposi compresi.
Mamma, papà, rispettivi genitori, zio, zia, zio acquisito, autista e fotografo. Sì, perché al momento di andare al pranzo che fai, lasci a casa l'autista che ha perso le gambe nel greto del fiume, saltando su una mina inesplosa, in pieno dopoguerra, mentre giocava con papà? No, non puoi. Per quanto riguarda il fotografo, invece, la sua presenza al banchetto nuziale pare sia stata una sorpresa: finita la cerimonia, alla domanda "dove andate a mangiare?" mia madre interdetta cercò un suggerimento nello sguardo di mio padre, che, preso dall'entusiasmo, non seppe rifiutare la richiesta del fotografo, avanzata unicamente per poter fotografare il consueto taglio della torta. Che non c'era.
Nell'album di nozze, infatti, alla fine delle pagine, dopo il classico scatto di rito ai calici incrociati, si vedono i miei che tagliano una specie di mini torta gelato recuperata all'ultimo minuto.

In verità, le stranezze (se vogliamo eufemisticamente chiamarle così) iniziarono ben prima, quando mia madre comunicò al prete della sua parrocchia che aveva finalmente deciso di sposarsi, ma non in chiesa.
"E perché mai, cara Maria?"
"Perché Giancarlo non è credente, è battezzato perché nato in piena guerra, ma non ha né Cresima né Comunione"
"Non c'è problema"
"Sì, ma con l'Eucarestia come facciamo?"
"Semplice, non gliela do"
"Ma Don, come fa a darla a me e non a lui?"
"E non la do nemmeno a te"
Dunque i miei si sono sposati in chiesa e non hanno preso l'ostia. Nada. Non so se gli altri invitati lo abbiano fatto, magari l'autista e il fotografo sì.

Questione vestito della sposa, complicatissima nei matrimoni normali, mostruosamente semplice per mamma e papà.
Uscirono insieme alla ricerca dell'abito adatto, lei ne provò uno, lui le disse "ti sta bene, prendilo". E lo presero.
Bon. Fine.
Così i miei si sposarono in beige.
Padre con completo a zampa d'elefante e cravatta. Marrone.
Madre con camicia e gonna a fiori anni settanta, capello corto, scarpe con il tacco basso. Marroni.
Bouquet bellissimo, pendulo, promesso in dono dalla nonna (paterna) e mai effettivamente regalato.
Se vogliamo dirla tutta, la prima scelta per l'abito della sposa furono un paio di pantaloni neri, ma mia nonna (materna) fece gentilmente sapere che in quel caso non avrebbe presenziato. Mio padre, invece, fermo davanti alla chiesa di un paesino in cui non lo conosceva nessuno, sotto il sole cocente del 10 di agosto, si allentò la cravatta nell'attesa della sposa e per tutto il tempo diede indicazioni ai passanti che, curiosi, gli chiedevano chi fosse il fortunato marito.

Dunque, ricapitolando, autista senza gambe, fotografo pronto a fotografare la torta che non c'era, abito a zampa per lo sposo, a fiori per la sposa. Meno invitati che a una festa delle medie, ma comunque più invitati del previsto.

Per chiudere con una chicca, la sera, dopo aver pranzato nel ristorante e salutato tutti i parenti, i miei tornarono a casa. Lì li aspettava l'operaio che stava mettendo su le porte e che con fare simpaticissimo li invitò a ritirarsi tranquillamente in camera da letto, senza curarsi della sua presenza, ma anzi offrendo loro un romantico barattolo di vaselina.
Mio padre, già allora pozzo senza fondo e ottima forchetta, prese dunque la solenne decisione di andare a cena fuori. Dove? Semplice, dove avevano pranzato (e dove, vedendoli arrivare, chiesero subito se avessero scordato qualcosa).

The End

P.S. Scrivere questo post ad alto tasso di ironia mi ha, in realtà, e più volte, riempito gli occhi di lacrime. Il titolo, va da sé, si riferisce alle persone della mia famiglia che non ci sono più. Cinque invitati su undici. Sposo compreso. Del fotografo, dell'autista e di due zii su tre, non ho più notizie.

sabato 12 settembre 2015

Thismustbetheblog #5: La Fenice rinasce da sé

La Fenice rinasce da sé è esattamente come questo fiore: delicata e accesa.

Ci siamo conosciute due giorni fa, di persona, ma sul web ci siamo scritte mille volte. Lei è una delle mie più assidue commentatrici, qui sul blog, mentre Instagram è il luogo dove ci "sentiamo" più spesso.
E sentiamo è senza dubbio la parola corretta, perché è nel mondo delle sensazioni e dei sentimenti che il rapporto con le ragazze di #thismustbetheblog si sta sviluppando. Pian piano, ma anche veloce veloce.

Con La Effe è andata così: in poco tempo è nato un contatto continuo, giornaliero e, nonostante ci separino davvero tanti chilometri, siamo riuscite a conoscerci di persona. In realtà ho avuto il piacere di stringere la mano anche a suo marito e ai suoi due bellissimi bambini, ho chiacchierato con loro davanti a gelati, cioccolate e caffè, ho giocato con lo squalo di plastica che il piccolo aveva portato via con sé dall'Acquario e ho scartato un bellissimo regalo scelto dalla mamma e dalla bimba più grande, un dono di legno al profumo di Trentino...cosa volere di più?
Abbiamo parlato del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro, tutti così incerti e simili, tutti così bisognosi di entusiasmo e coraggio. Abbiamo sfiorato la botanica mille volte, perché è uno dei tanti mondi che ci accomuna, ci siamo raccontate chi siamo e cosa facciamo ogni giorno quando nessuno ci vede, quando la nostra vita non è on line, quando la fretta non ci permette di rallentare.

La Effe ha delle mani bellissime, affusolate e abbronzate, con unghie bianche, tonde e perfette. Ha un sorriso che la illumina tutta, ha i modi da mamma in un corpo da ragazzina e una calma voce del sud, vibrante e calda, proprio come piace a me. Credo che avremmo potuto rimanere a parlare sedute sotto quella palma per ore, mentre la bambina saltava la corda, il bimbo giocava con compagni sconosciuti (e, da buoni genovesi, ben poco ospitali) e il papà osservava in disparte tutto e tutti, con rispetto e tranquillità.

Quando ho iniziato il viaggio di #thismustbetheblog non avevo idea di dove mi avrebbe portata, pensavo che mi sarei spostata spesso o, più probabilmente, che avrei cercato di incastrare impegni di lavoro e trasferte a incontri furtivi e pieni di affetto con le compagne di blog, con le ragazze cioè con cui trascorro già molti momenti della mia giornata. In realtà non è mai andata così: Cindy, Valeria e La Effe sono venute fino qui e hanno trascorso del tempo con me, nella mia città, solo per il piacere di incontrarmi. E quindi viva Torino che mi ha regalato il primo incontro con l'Inventore e l'inizio di questo percorso (la splendida mattina da Melissa), viva Genova che porta con sé Paola e che le ospita tutte quante ogni volta che vogliono salire quassù, tra i rami del mio albero, dove il mare arriva in giardino.



sabato 5 settembre 2015

Fuochi d'artificio

Ieri sono stata adottata per mezz'ora, ma di questo parliamo dopo.

Prima viene l'oggi: è il turno della luce meravigliosa che ha riempito questo sabato, tocca al temporale che ha ricoperto la città e spazzato via un po' di calore, è il momento della lasagna al pesto e della passeggiata in solitaria, prima di cena, per scoprire posti sconosciuti a un passo da casa.
Mentre fuori pioveva ho pensato a una cosa, ho pensato a quanto i tuoni degli acquazzoni di fine estate mi ricordino gli ultimi tre fuochi d'artificio, quelli che di solito concludono gli spettacoli pirotecnici, quelli che avvisano il pubblico e il pubblico comincia a disperdersi.
La pioggia di oggi ha spinto l'estate un po' più in là, ha regalato vantaggio all'autunno e il risultato è stata una bellissima serata lenta, con un sole fresco che ha abbracciato tutta la città prima di calare, con le belle di notte fuxia tutte aperte verso il cielo, con tante persone per strada, tanta gente che chiacchierava seduta sui muretti, tanti bambini che continuavano a giocare a nascondino tra i vicoli stretti.

Così è andato oggi, chissà come andrà domani.

Ieri, invece, ho passato il pomeriggio con Cindy.
Che pare di conoscerci da molto tempo ormai si sa, perciò le ore spese a parlare, raccontare, fare shopping, pranzare in un posto bellissimo , scattare foto stupide per lanciare progetti Instagram alquanto bizzarri, sono volate in un lampo. Con la promessa di riabbracciarci dopo il suo viaggio ci siamo salutate, io ho fatto due passi per testare l'autonomia del mio piede ribelle e ho deciso che no, che senza cambiare le scarpe non avrei potuto prendere un bus e spostarmi qualche chilometro più in là.

Allora, ho cambiato le scarpe.

Con i Pescura corallo che ho comprato non mi ferma più nessuno, pesano un quintale, fanno molto "ragazza nata in campagna e cresciuta al mare", ma del resto sono zoccoli di legno (faggio) e io sono una ragazza di campagna cresciuta al mare, quindi inutile farsi altre domande.
Poco prima di cena, al momento di rientrare a casa, mi sono accorta di non avere il biglietto del treno.
Da quel momento in poi...l'assurdo.
No problem, ho pensato, lo compro in stazione.
Biglietteria chiusa.
Ok, non fa niente, lo faccio dal distributore.
Nessuno dei due stampa biglietti urbani.
Va bene, dai, vado dal tabacchino.
Chiuso per ferie.
Fa niente, insomma, prendo l'autobus mandando l'sms all'AMT.
Il cellulare è spento, scarico.
Umpf, vado in stazione e chiedo pietà al controllore. Anzi no, vado in stazione e chiedo di poter fare il biglietto non maggiorato, dopo tutto io la buona volontà ce l'ho messa e questo sistema "è una vergogna!" (cit.).
Alla fine sono andata in stazione e mi sono fatta adottare da due signori con un carnet di biglietti: me ne hanno venduto uno e mi hanno ospitata accanto a loro fino a destinazione, sorridendo, senza fare domande e continuando a chiacchierare in italiano e in inglese, con tranquillità, eleganza e una gentilezza davvero fuori dal comune.
Una volta scesa dal treno, penso, vado a prendere la metro comprando il biglietto dalla macchinetta.
La fermata della metro interna alla stazione ferroviaria non ha la macchinetta.
Ok, prendo l'autobus, figurati se a Brignole non si trova un modo per acquistare un biglietto AMT.
Alla sera no, non si trova.
D'accordo, aspetto il 17 e poi chiedo all'autista.
Arriva il 17.
Salgo.
"Ehm, salve, senta, non ho il biglietto. Ho provato a farlo con il telefono ma è scarico. In stazione non c'è nulla per comprarlo, né tabaccherie, né distributori, né edicole. Ho qui con me i soldi contanti, cosa faccio?"
"Stai qui."

Tre fermate dopo saltellavo verso casa con i miei zoccoli, pensando che questa è la città che non vorrei, ma anche che questa è la gente che vorrei.