sabato 27 febbraio 2016

Vapore


Ho trascorso parte dello scorso week end immersa nella nebbia.
Ho trascorso parte di questo week end immersa nel vapore.


Oggi giornata alle terme.
Con Ale, come tanto tempo fa.
Dall'Agosto 2012 sono successe molte cose, per esempio è successa Giulia, la bambina di Ale.
Sono successi due traslochi sufficientemente distanti da avere poco tempo per incontrarci al volo e zero tempo per le nostre cene a base di birra Moretti e birra Moretti.
È successa la vita, che si mette sempre di mezzo, e probabilmente è giusto così.
Quindi, quando ieri mattina Ale mi ha scritto un messaggio per propormi una giorno insieme, nell'acqua calda e piena di bolle, ho semplicemente detto sì.

Ci siamo viste presto, quando siamo arrivate stavano aprendo le porte e in piscina non c'era quasi nessuno.
Abbiamo scelto prima la vasca interna, lì c'è meno rumore: avevamo talmente tante cose da raccontarci che ci occorreva silenzio. Il rientro al lavoro dopo la maternità, il mio contratto fresco fresco, i suoi chili persi, i miei chili presi, l'amore, Giulia che cresce e va al nido volentieri, i viaggi fatti, quelli mancati.
Tisane, bagno turco, toast, giornale, vasca esterna.
Ecco il paradiso vero, la pioggia ghiacciata che scende piano dal cielo, l'acqua calda, le bolle leggere e quelle violente, tanto, tantissimo vapore. E intorno alberi, betulle, pini, la natura silenziosa, qualche uccellino ogni tanto.
Abbiamo chiacchierato anche lì, ma in verità ci siamo concentrate soprattutto nella pratica della nostra attività termale preferita: l'ippopotamo che spunta dall'acqua unicamente con le narici.

Una doccia svelta che solo due come noi sanno fare così svelta, un incastro perfetto di lavaggi con lo shampoo per tutto il corpo che va bene uguale (lei) e di asciugatura capelli velocissima, senza spazzole e beccucci che intanto non servono (io).
La giornata è trascorsa in fretta, il prossimo incontro lo organizzerà Giulia con il suo battesimo, per fortuna, altrimenti chissà quanto altro tempo lontane avremmo dovuto passare.

Ora, tra una scheda di restauro e l'altra, mi sorprendo a pensarmi, a mollo nella vasca calda, con la testa piena di pensieri che si mescolano al vapore e volano via con lui, per tornare a volte più densi, a volte più leggeri, e allontanarsi di nuovo. Ne avevo bisogno, di tempo, di silenzio, di riposo, di Ale.


domenica 21 febbraio 2016

Mari e Monti


Quarantotto, le ore di un week end.
Otto, le ore trascorse al mare.
Sette, le ore trascorse dormendo.
Di nuovo otto, le ore trascorse in montagna.

Inizio questo post così, seduta al tavolo del rifugio, con la tovaglia a quadretti rossi e la stufa ancora tiepida.
Ieri mattina sono andata all'Acquario e sono rimasta lì fino a metà pomeriggio. Non ci tornavo, secondo me, da quando ha aperto e meditavo da un bel po' di visitarlo di nuovo. Quindi, appena si è presentata questa opportunità non me la sono lasciata scappare. In occasione del battesimo di tre cuccioli nati da poco, infatti, l'ufficio stampa ha invitato alcuni instagramers e bloggers per coprire l'evento a livello mediatico, proponendo loro un tour un po' speciale, differente dal percorso canonico.
Oltre a presenziare alla festa per Striscia, Tino e Indy, siamo stati accompagnati nel "dietro le quinte" dell'Acquario, dove abbiamo potuto osservare quello che quotidianamente accade lontano dagli occhi dei visitatori. Tubature enormi, filtri, nursery per minuscoli cavallucci marini, vasche piene di meduse di ogni età, stanze di monitoraggio delle tartarughe e tantissime altre curiosità che non avevo minimamente idea esistessero.
Cos'altro ho fatto? Ho visto l'addestramento dei delfini.
E, nonostante la mia proverbiale fatica davanti ad animali che rispondono così automaticamente alle richieste di un essere umano, le spiegazioni sul concetto di gioco e sulla vita in cattività mi hanno aiutata a comprendere e apprezzare anche questa parte del tour. Tra i cuccioli in odore di battesimo c'era Striscia, piccolo squalo zebra, che però a righe lo nasce soltanto: ora, in verità, è un meraviglioso animale a pois!
La tappa che mi è piaciuta di più è stata sicuramente quella davanti a Tino, cucciolo di lamantino timido e talmente tenero che me lo sarei portato subito a casa, se solo fosse possibile tenere un cucciolo di lamantino in casa. Purtroppo, poco prima della festa per Indy sono dovuta scappare al Museo del Mare, dove i bimbi del mercoledì mi aspettavano per visitare insieme la mostra dei loro lavori sul mondo marino e per partecipare alla premiazione.

Ieri è stato un giorno lungo, un giorno di mare. E oggi?

Oggi mi hanno accolta i monti, perché insieme ai vicini fotografi sono andata qui. Abbiamo deciso di partecipare soltanto all'ultimo minuto, anche se l'idea ci aveva stuzzicato fin da subito.
Perciò, questa mattina presto siamo partiti armati di macchine fotografiche e speranza e siamo arrivati al Rifugio Pratorotondo in tempo per un tè caldo e per una marea di bianchissima e compattissima nebbia. Un muro di latte che non ci ha mai abbandonati, per tutto il giorno, tra i faggi, i prati, i sentieri, le rocce e i cespugli.
Nebbia, nebbia e ancora nebbia.
Obiettivi fradici, fotocamere nascoste dentro la giacca, piedi nel fango, nella neve e nel ghiaccio, dita congelate.
Abbiamo sperato in un raggio di sole che ci aiutasse un pochino, giusto per scattare una foto che sapesse davvero di paesaggio e che non si limitasse a sagome nere, rami soffusi, gocce appese per miracolo e foglie secche... ma non è mai arrivato.
Non ci siamo minimamente fatti scoraggiare e abbiamo partecipato al concorso, condendo il tutto con taglierini, polenta e salsiccia. Non abbiamo vinto ma ci siamo lo stesso divertiti un sacco.
Dopotutto, se ci fossimo lasciati abbattere e fossimo rientrati subito a casa, quando avrei imparato a fare foto nella nebbia?
Probabilmente mai.

In questi due giorni super intensi sono stata fortunatissima, perché il caso mi ha regalato delle belle opportunità. Ora sono stanca morta ma felice, una delle sensazioni che senza dubbio amo di più.

lunedì 15 febbraio 2016

L'unica cosa che ti rimane

All'epoca non avrei mai immaginato che sarebbe andata così, ora, invece, lo so.

Qualche giorno fa una persona mi ha detto: "L'amore per le cose che fai è l'unica cosa che ti rimane, alla fine di tutto. Anche alle fine delle persone".
Osservando il mio passato, che in realtà è il passato di molti, fatto di studio, sacrifici, lavori precari, mal pagati, a volte nemmeno capiti guardo le difficoltà che incontro ogni giorno e mi trovo sempre e comunque non disponibile ad accettare compromessi che possano sminuire e snaturare un lavoro. Ho l'esigenza di imparare ad adattarmi per non impazzire davanti ad atteggiamenti troppo distanti da quelli che a me invece verrebbero spontanei e mentre comincio una nuova avventura caricandomi di positività e voglia di riuscire ricordo le ricerche per le tesi, i sopralluoghi, le ore trascorse a scrivere senza sosta con enorme, infinita soddisfazione.

Dopo un post sulla mancanza di entusiamo, ormai cronica da queste parti, ecco che spontaneamente e con estrema urgenza, mi ritrovo a buttare giù una frase sopra all'altra in difesa della Elena piena di speranze che viveva qui, dentro di me, non più tardi di sette anni fa.
Ho iniziato a pensare alla prima tesi di laurea in piena malattia di mio padre: mi mancavano quattro o cinque esami, era l'autunno del 2004. Sono andata a parlare con il relatore tenendo il cuore tra le mani, spiegandogli che intendevo finire con calma, che preferivo dedicarmi alla famiglia, lasciando a scrittura e studio solo il tempo libero. Mi rispose, con mio totale stupore, che non c'era nessun problema: stava lottando pure lui con un cancro e, come nel mio caso, lasciava che cure, fatiche, tempi di recupero scandissero le sue giornate. Ci siamo cercati il minimo indispensabile, io l'ho tenuto informato dei miei progressi, ho raccolto le sue indicazioni preziose e, dopo aver dato due esami nella sessione invernale mi sono concentrata sulle ricerche per la tesi. Quante giornate trascorse con il correlatore a mollo tra il fango, studiando piante, scattando fotografie, facendo ipotesi. E che gioia quando il relatore trovava il modo di raggiungerci con le sue scarpe inadatte a fare sopralluoghi in un parco abbandonato!

Mio padre è morto a luglio e a gennaio ho sostenuto l'ultimo esame. A marzo la laurea. Quando ho dovuto scegliere chi mi avrebbe seguita per il secondo lavoro di tesi non ho avuto alcun dubbio e ho di nuovo cercato lui, la persona che non mi ha mai fatto domande, che ha corretto il mio primo lavoro in silenzio, in ritardo, di notte, di fretta, magari anche pensando (giustamente) a tutt'altro. Ho scritto la tesi di laurea specialistica in sei mesi, più di duecento pagine nate in biblioteca, davanti al mare del Porto Antico e di nuovo tra gli alberi, i viali, i segni inesorabili del tempo sul lavoro dell'uomo. Mi ci sono dedicata con il sorriso, con una gran voglia di fare, scoprire e studiare, memore di come possa invece essere difficile concentrarsi su un compito quando le basi della tua esistenza si stanno sgretolando.

Questa cosa, imperdonabilmente l'ho dimenticata.
Proprio io.
Proprio io che ho ritagliato dal dolore ogni momento per lavorare e immergermi in ciò che mi è sempre piaciuto fare: cercare il bello, scovare anche minuscole porzioni di rarità, scrivere e catalogare queste meraviglie come se fosse necessario per l'umanità intera.
Ho scordato che dieci anni fa ero molto più avanti di adesso e davvero non lo posso accettare. Non voglio. Per quel professore che mi ha aiutata e che ancora oggi chiede di me.

Perché l'amore per le cose che fai è l'unica cosa che ti rimane.

lunedì 8 febbraio 2016

La tecnica del croco

Ogni anno, verso la fine dell'inverno, il croco fiorisce.

Nonostante faccia freddo, nonostante sia solo un fiore tra cento alberi e mille foglie, nonostante il suo colore viola non c'entri nulla con il marrone monocorde del paesaggio.
L'ho sempre incontrato durante le mie passeggiate e l'ho fotografato spesso, perché lo trovo bello, coraggioso quanto fragile e se il sentiero che sto percorrendo attraversa una radura popolata dai crochi mi emoziono come se fosse la prima volta che ne vedo uno.
Il croco fiorisce quando nessuno, o quasi, ha il coraggio di farlo. Quando potrebbe ancora nevicare, quando di notte potrebbe scendere il gelo, quando gli altri fiori dormono ancora beati sotto la terra fredda.

Io, in questo periodo, al croco e alla sua tenacia penso ogni giorno.
Appena mi alzo.
Appena vado a dormire.

Ho sempre fatto (molta) fatica a entusiasmarmi. No, forse non è vero, forse devo spiegarmi meglio.
Ho sempre creduto poco nelle cose belle che mi capitano, che io le abbia cercate, fortemente volute o incontrate per caso. Non fidandomi mai, il mio entusiasmo è sempre piuttosto rallentato, sotto tono, controllato. Mi succede anche con le persone, con gli incontri nuovi, con le relazioni, con le amicizie, con i rapporti di lavoro.
Questo però non pregiudica mai il mio rendimento. Ovvio, quando una cosa mi piace molto è probabile che la curi di più, che mi risulti più semplice occuparmene, ma anche i compiti meno interessanti, più faticosi, o semplicemente lontani da me li ho sempre svolti al massimo delle mie capacità, senza particolare entusiasmo.

Nonostante faccia freddo, nonostante sia solo un fiore tra cento alberi e mille foglie

Mi sono accorta che il mio piacere a fare ciò che prima amavo molto è cambiato, in certi casi addirittura svanito, a causa delle delusioni.
Questo mi addolora tantissimo e sto lavorando quotidianamente per risolvere le cose, per tirarmi fuori da qui, per ricominciare a trovare meraviglia dove prima la raccoglievo a manciate.
Voglio usare la tecnica del croco e voglio lasciarmi contagiare da chi l'entusiasmo lo grattugia pure sulla pastasciutta.
Guardo le persone entusiaste come strani alieni verdi e blu, non le capisco e mi fanno persino un po' paura. Credo però che sia tempo di prendere esempio da loro cercando di mettere da parte la scorza dura e lasciandomi coinvolgere.
Quello che mi pare buffo è che negli entusiasti incontrati fino ad oggi non ho però mai trovato molta disponibilità effettiva a fare, ma soltanto, appunto, tanto entusiasmo. Voglio vedere se io sarò capace di coltivare entrambe le cose, rimanendo pronta a mettermi all'opera anche quando non toccherebbe a me, credendoci fortissimo. Oppure credendoci forte e moderando un poco la mia patologica capacità di sbattimento: sarebbe perfetto.

Ma come si fa? Dovrei chiedere al croco, lui lo sa.
Nonostante faccia freddo, nonostante sia solo un fiore tra cento alberi e mille foglie

Dovrei fare come Cindy, che sta seguendo una pratica molto sana e saggia, ovvero quella di ringraziare per qualcosa ogni giorno. Credo che di motivi, anche piccoli, per dire "uh, grazie", ne abbiamo tutti. Nel post di oggi ho trovato un po' il senso del mio vagare: provando a voltarmi indietro anche solo di un anno vedo tante conquiste che probabilmente non avrei mai sperato di ottenere, nonostante mi sembri sempre di non aver fatto nulla, nonostante non ne parli mai con nessuno, nonostante le nasconda in un cassetto per non crederci troppo.
Magari questa cosa dell'entusiasmo servirà anche a sottolineare gli obiettivi raggiunti, a vederli meglio e a goderne di più.
Chissà.