domenica 25 settembre 2016

Quella sensazione lì

C'è un'immagine a cui penso spessissimo.
Sta nascosta nella mia testa da un numero imprecisato di anni. La ricordo così bene perché l'ho rivissuta decine di volte e, come me, credo tutti quanti almeno in un'occasione.

Dall'inizio delle elementari alla fine delle medie ho portato l'apparecchio ai denti. Sempre mobile, per fortuna, niente ganci fissi che facevano sanguinare le gengive, niente baffo (ve lo ricordate?) che ti incollava gli occhi altrui addosso, senza possibilità di scampo. L'unica pecca dell'apparecchio mobile? Ogni venerdì pomeriggio toccava andarlo a regolare. Che fosse caldo, che facesse freddo, che piovesse, nevicasse, avessimo tanti compiti da fare, o la partita di pallavolo nel week end, bisognava andare dal dentista.
Un incubo lungo ore, perché a far regolare l'apparecchio eravamo centomila, tutti il venerdì pomeriggio, dalle quattro in poi. Questo si traduceva in una fila interminabile, che riempiva sale d'attesa, corridoi, scale e androni del palazzo e finiva, semplicemente, quando tutti gli apparecchi, di tutti i bambini, erano stati regolati (solitamente non prima delle sette di sera). Vi risparmio i momenti splatter di piccoli denti ciondolanti scoperti pubblicamente dal dottore ed estratti seduta stante, anzi, in piedi stante, con l'unico ausilio di una bomboletta spray ghiacciata, una pinza, un'assistente gentile e l'eterna silente comprensione del serpente di coetanei terrorizzati alle proprie spalle.

Dopo l'appuntamento dal dentista si tornava a casa e, spesso, era già buio. Seduta in macchina sul sedile posteriore, insieme all'amichetta apparecchiata pure lei, guardavo fuori dal finestrino. Sempre la stessa strada, sempre il medesimo sapore metallico e medicinale in bocca, sempre l'agitazione post controllo dondolii. C'era una scena, però, che mi riempiva gli occhi di meraviglia e mi faceva subito sentire bene, lasciandomi sognare e pensare al Natale, vicino o lontano che fosse, spingendomi a fantasticare su come sarebbe stata la mia vita adulta in una grande città (!).
Assurdo, a nove anni mi immaginavo affermata e in carriera, piena di impegni e di corse veloci sotto la pioggia, sempre intenta a comprare regali per la famiglia, con un mazzo di fiori sotto il braccio e un ombrello colorato sopra la testa. L'immagine capace di scatenare tutto questo folle pensiero futuro era pressapoco così. Che non si trattasse di NewYork ma fossimo semplicemente fermi in coda a Voltri poco importa, che di taxi gialli in doppia fila non se ne vedesse nemmeno uno è un dettaglio, che gli addobbi natalizi a bordo strada fossero i soliti fiocchi fulminati per metà non fa niente: io mi emozionavo e, in tutta sincerità, mi emoziono ancora adesso, come se fosse la prima volta. Mi bastano un po' di traffico, l'aria fredda dell'autunno inoltrato, la pioggia e il silenzio.

Tutto questo pippotto per arrivare a dire una cosa ovvia a cui però credo fermamente: ogni corso che seguo, ogni luogo in cui decido di andare quando ho un po' di tempo per me, ogni post che scrivo e foto che scatto nascono dalla volontà di ritrovare quell'emozione, dal bisogno di riagganciare una sensazione già provata.

Sono tanti gli istanti così, solitamente veloci e difficili da catturare, da vedere davvero e da riconoscere, ma sono bellissimi e non mi stancherò mai di cercarli. Per questo motivo ieri mi sono iscritta a un laboratorio splendido dove sapevo avrei rivissuto almeno un poco la meraviglia di quando si impara qualcosa di nuovo, di quando ci si sente capaci di produrre bellezza. Che si tratti di un collage fatto strappando le riviste all'asilo, di un quadro creato con mille pastelli a cera e un ago per incidere le figure, di una borsa cucita a mano usando i vecchi jeans di papà, di un timbro in gomma nato per stampare la propria foglia del cuore, non cambia nulla.

Sempre alla ricerca di un momento perfetto oggi me ne vado al Garden Market e con me ci sarà pure mamma, in questo modo sarà ancora più semplice sentirmi bene come tanto tempo fa, quando l'otto Dicembre vagavamo semi assiderate tra le bancarelle di prodotti naturali, montate nel gelo del mattino di fronte a lo Spedale degli Innocenti di Firenze. Lo abbiamo fatto per anni di scendere giù, dormire nello stesso albergo e perderci tra le lane grezze, i saponi, le maglie pelose e pungenti, i guanti peruviani e le fasce per capelli. Oggi lo facciamo di nuovo, nel sole e nel caldo, circondate da stampe, disegni, quaderni, spille, borse di stoffa e ricordi.


giovedì 15 settembre 2016

Luci calde, aria fredda

Ha piovuto tutta la notte e pure tutta la mattina. Finalmente, vista la terribile siccità di questa estate e i tanti (troppi) incendi degli ultimi giorni. Sono rimasta sveglia un sacco a causa dei tuoni: non ci andavo d'accordo da piccola e non ci ho fatto pace nel frattempo, con questi rumori forti e improvvisi nel bel mezzo del sonno.

L'aria sembra essersi un poco rinfrescata, non che questa estate abbia fatto caldo, ma a Settembre le temperature erano veramente più alte del dovuto (e della media di sempre, a quanto pare).

Queste premesse un po' anziane e generiche, da sala d'aspetto di studio medico, per dire che non ho molto da condividere oggi. Perché, allora, scrivere un post? Perché mi andava, perché è tutto il giorno che digito digito digito, così tanto da non riuscire a smettere, così tanto da aver persino avuto l'impulso (subito sopito) di comprare una Lettera 35 trovata on line ad un prezzo davvero conveniente.
Stasera mi aspetta una bella cena al Messicano, per festeggiare un'amica che negli ultimi due anni, di pioggia, ne ha vista decisamente troppa: brocche di margarita, fagioli piccanti, tacos, birra, tortillas e cheesecake per mandare sonoramente affanculo una bestia che si merita assai di andarci.

Per il resto, succedono cose. Molte dipendono da tutti fuorché da me, alcune potrebbero dipendere, invece, dalle mie scelte. Probabilmente, come spesso succede, il modo migliore per dipanare nebbia, dubbi, bandolo della matassa e per vederci più chiaro è scrivere qui sotto un bell'elenco completo. Eccovi serviti:

1. Mi iscriverò all'università per dare un esame mancante. Mancante per cosa? Per poter insegnare storia dell'arte, nonostante dei 24 crediti in storia dell'arte necessari per accedere alle graduatorie io ne abbia 75. Non è così semplice, serve FORSE un esame aggiuntivo, ma nessuno, dico nessuno proprio, dal 2011 ad oggi ha saputo assicurarmi che sia davvero così. Né l'università, né il provveditorato, né l'URP del Miur, né i sindacati di categoria, né un avvocato. Nessuno. Il risultato è che sto per pagare quasi cinquecento euro per dare un esame che non mi farà rientrare in graduatoria (perché le graduatorie di terza fascia non verranno più aperte), ma FORSE mi darà l'accesso ad EVENTUALI concorsi e abilitazioni che PROBABILMENTE ci saranno l'anno prossimo. Quando? Chi può dirlo.

2. Continuerò a lavorare per la borsa di studio, finché ci saranno tempi e risorse per farlo e continuerò a progettare, organizzare, tenere laboratori di robotica per bambini. Parallelamente mi occuperò di scrittura web per l'associazione con cui collaboro e cercherò una via nuova, forse più sicura, forse più azzardata, forse più costosa, forse più conveniente, per proseguire il mio bizzarro cammino nel mondo del lavoro.

3. Mi getterò a capofitto, come ogni anno, nel Festival della Scienza di cui sento già l'odore, a sto giro per forza di cose più intenso di sempre.

4. Organizzerò tutto nei minimi dettagli, o quasi, per quanto riguarda gli orari di lavoro. Con sta storia che scrivo tanto, spesso e per ragioni diverse (lavoro, necessità, divertimento...) ho deciso di procurarmi un bel planner professionale (cartaceo, ovviamente, non esageriamo con la modernità) e suddividere con attenzione le mie giornate al pc. Parallelamente ho definitivamente rispolverato gli occhiali da vista: mai più senza.

5. Mi iscriverò a un corso creativo, almeno uno, prima che arrivi il Natale. In cantiere c'è già qualcosa, aspetto la conferma dal mio lab del cuore e via. Nel frattempo, però, mi delizierò guardando (e comprando, naturalmente) le creazioni altrui al Garden Market.

6. Mi impegnerò per fare gite e camminate, magari con qualche corsetta tra un'escursione e l'altra. So che non dovrò sforzarmi più di tanto, infilare gli scarponi e uscire di solito mi riesce benissimo, senza fatica.

7. Continuerò a studiare francese, con un obiettivo più alto del previsto: vorrei conseguire la certificazione Delf. Ce la farò? Presto per dirlo ma sicuramente ci proverò. Una buona insegnante e un buon gruppo di studio certamente non mi mancano.

8. Mi prenderò cura. Principalmente dei miei spazi e del mio tempo, cose che spesso trascuro (pagandone poi le conseguenze, in termini di malumore e incriccamenti vari). Sono già sull'ottima strada, il planner di cui sopra aiuta molto, l'aria fresca d'autunno pure, così come la luce meravigliosa di queste sere di fine estate: la vedete lassù, nella foto scattata al Festival della Comunicazione di Camogli, dopo un acquazzone e prima di uno spritz.

lunedì 5 settembre 2016

In love with Flow

Avrebbe dovuto essere un post su una gita, una delle ultime della stagione, forse l'ultima.

Cause di forza maggiore (leggi: peste intestinale che solo il cielo sa quando ne uscirò, se ne uscirò e come ne uscirò) mi hanno inchiodata a casa nel week end, quindi niente gita, prati, boschi, castelli, trenini, alberghi e nemmeno un più semplice e sempre efficace sentiero, pranzo, mare, mulino, vongole e sole. Solo casa, letto, bagno, acqua, grissini, bagno, letto, tisana, casa, fette biscottate, letto, bagno e libri.
Questi ultimi solo quando il mal di testa lo ha consentito, così come i post di lavoro e le serie tv.
Volendo cercare il buono in ogni cosa, tra gli aspetti belli di questa situazione c'è, appunto, la lettura. Ho finito (finalmente!!!) un romanzo di cui scriverò prestissimo qui, ho mandato mamma in spedizione di acquisto del tanto atteso Eccomi di Safran Foer e ho letto un po' dell'ormai mitico e super fotografato Flow Magazine: a lui è dedicato, in realtà, questo post già parecchio confusionario, come vuole la tradizione.

Di Flow ho sentito parlare per la prima volta l'anno scorso, non ricordo dove o da chi, ma ricordo che rimasi incantata e molto curiosa. Lo vidi esposto da Flamingo Bergamo e poi in un negozietto di Pistoia che non credo saprei ritrovare. Fino a che, parlando con Cinzia, mi decisi a recuperarne un paio di copie. Del suo arrivo ho già raccontato qui, oggi però vi dico com'è una volta aperto, annusato e sfogliato con cura. Per saperne di più sui contenuti, invece, occorrerà aspettare ancora un po', l'inglese e il francese mica sono la mia prima lingua!

10 cose di Flow che conquistano appena lo si sfoglia:

1. Innanzi tutto Flow è spesso, è spessa la carta, è spessa la rivista (più di 130 pagine)
2. Flow profuma di cartoleria, non di giornalaio - attenzione! - ma di cartoleria. Tutta colpa degli INSERTI
3. All'interno di Flow ci sono, per l'appunto, degli inserti meravigliosi e per meravigliosi intendo: poster double face e busta piena di stickers nel numero francese, vetrofanie e quaderno "tine pleasures art journal" (!!!) in quello inglese
4. Flow è pastello con una punta di fluo, è lucido e opaco, è liscio e ruvido, è dolce e sfacciato
5. Flow è pieno di proverbi, modi di dire, poesie e filastrocche bellissime
6. Flow è un garage di illustrazioni e immagini che varrebbe la pena ritagliare e conservare, se non fosse un peccato mortale avvicinare un paio di forbici a questo giornale
7. Flow, all'inizio, ha un piccolo tag in cui scrivere il nome del proprietario (eh vabbè)
8. Flow racconta storie, passate e presenti, spalancando finestre su mondi piccoli e grandi, vicini e lontani. Ve ne parlerò
9. Flow non ha pubblicità
10. Flow ti parla dentro, sussurrando al cervello, ascoltando il cuore, nutrendo lo stomaco con le ricette scritte alla fine

Ci sarebbero altre mille cose da dire e segnalare ma per ora mi fermo qui e aspetto di averlo letto tutto per bene.
Di sicuro, nel frattempo, comprerò l'agenda del prossimo anno: non è bellissima?