venerdì 30 dicembre 2016

Cavalli, torte, ometti e betulle


7.46: treno per Ventimiglia, fermata Loano.
10.33: bus per Verzi, fermata Capolinea.
E da qui gambe, sentieri e tanto sole.

Viste le temperature, decisamente anormali per questo periodo dell'anno, siamo saliti in maniche corte e se avessimo potuto ci saremmo tolti anche quelle. La prima cosa che ci ha colpiti sono stati i filari di eucalipti, abbiamo affondato le dita nei rami potati a bordo strada ed è stato subito Vicks Vaporub. Poi sono arrivati i limoni, gialli nei frutti e nelle foglie e la strada è diventata bianca di roccia saponaria. I corbezzoli erano maturi (buon per me!), gli zaini pesavano ma non troppo e i bianconi volavano bassi. Unica nota stonata: i cacciatori incontrati sul sentiero, con il fucile tra le braccia, subito rivolto altrove.

Il percorso è durato più o meno tre ore, noi ci siamo fermati molto spesso, per fotografare praticamente tutto e mangiare seduti su una roccia piatta lungo il torrente. Appena arrivati al Rifugio sembrava di stare sul set di un film di Wes Anderson: betulle, laghetto, erba corta e persiane rosse. Ci siamo sistemati un poco e abbiamo chiesto informazioni per proseguire a camminare ancora un po'. Sotto consiglio di Valentina e Lorenzo, i meravigliosi gestori di Pian delle Bosse, abbiamo scelto il Sentiero degli Ometti, fino al presepe nella roccia, attraversando una pietraia bianca ricoperta di licheni giallo fluo talmente bella da togliere il fiato. Di fronte a noi un canyon di pietre geometriche sprofondato in coltri di nebbia dense, velocissime e trasformate in nuvole di latte dal sole delle tre.
Abbiamo continuato ancora un poco in salita, il tempo di una foto a un piccolo albero ritorto e cresciuto tra i sassi più alti (l'immagine di questo post) e siamo rientrati. Ad attenderci la torta di pesche e mele più buona che avessi mai mangiato.

Un salto in stanza, un po' di riposo e via con la cena, degna di un ristorante di prima categoria, con "l'aggravante" della stufa accesa e della gatta arancione alla ricerca di coccole. La notte è passata tranquillissima, nel buio e nel silenzio più totali e noi, memori dell'ultima volta in rifugio con il cellulare del demonio lasciato accesso in camerata, non potevamo essere più contenti.

Dopo una colazione con torta al cocco e alle nocciole, pane fatto in casa e cotto al calore della stufa, crema di latte, marmellate e caffè siamo partiti alla volta del Monte Carmo: un anello di circa 3 ore e mezza tra prati innevati, creste esposte in pieno sole, piccole faggete e branchi di cavalli selvatici (su questo punto devo applaudire a me stessa: ho vinto una grande paura e, seppur con la schiena un tantino rigida, ho attraversato il gruppetto equino senza morire d'infarto).

Il panorama dalla Vetta era uno spettacolo, Alpi e mare in un colpo solo, neve e caldo contemporaneamente.

Da qui siamo ridiscesi proseguendo lungo l'anello prestabilito, abbiamo camminato sul sentiero all'ombra e quindi ancora pieno di neve e abbiamo visto il più bel bosco di betulle che avessi mai incontrato prima di allora. Siamo arrivati al Rifugio giusto in tempo per pranzare alla grande (le tagliatelle al sugo di noci e nocciole le sognerò ancora a lungo) e ripartire verso casa: alla fine, complice anche l'assenza totale di mezzi di trasporto da Verzi a Loano, al termine della giornata abbiamo totalizzato 20 km di cammino, che sommati a quelli del giorno prima fanno i cingoli che mi ritrovo oggi al posto delle gambe :-)

Questa avventura di un paio di giorni, come al solito, sembra essere durata una settimana e io spero che il suo effetto duri a lungo. Prima di andare non stavo bene, i sintomi dell'influenza si facevano largo ed ero convinta che avrei dovuto rinunciare. Poi ho capito: non ero malata, avevo solo bisogno di camminare, di vedere alberi e annusare aria invernale, di saltare sulle rocce e dormire nel sacco a pelo, di sentire freddo e toccare la neve.





sabato 24 dicembre 2016

Natale arrabbiato


Musica.
Nei giorni scorsi ho pensato a lungo ai Natali di quando ero bambina. Di alcuni ho ancora le foto, di altri no. Ci sono quelle del gatto siamese seduto sotto l'albero, con la sua solita aria da "mi avete tutti rotto i coglioni", quelle con i pattini Fisher Price appena scartati e già indossati, quelle accanto alla Ferrari di Barbie e quelle con le mani affondate nel muschio del Presepe.
Non ho foto con i miei, non solo a Natale, proprio in generale.
Famosissimo, infatti, diventò l'aneddoto sulla mia presunta adozione: a scuola tutti portarono una foto del pancione, probabilmente in occasione di qualche festa della mamma, io non ne trovai nemmeno una e giunsi alla conclusione più pragmatica e ovvia. Ero stata adottata. Alla sera lo chiesi a casa, dove risero e mi dissero che no, non ero stata adottata, semplicemente ai miei non piaceva farsi fotografare. Punto.

Probabilmente per la medesima ragione esistono, in generale, poche mie fotografie negli scatoloni in fondo all'armadio e, se non sbaglio, delle feste di Natale alla Marconi non ne ho nemmeno una. La Marconi è il posto dove mio padre ha lavorato quando ero bambina, insieme a mio zio. Ogni anno veniva organizzata una serata natalizia per i figli degli operai e dei dipendenti, io e mia cugina partecipavamo sempre. Non ricordo con quale modalità si portassero a casa i regali, però ricordo benissimo che ero molto agitata in quel contesto e che quando rientrai con l'orso di peluche più grosso del mondo toccai vette di felicità mai più raggiunte. Di solito, i pupazzi che da bambini ci apparivano enormi una volta cresciuti sembrano improvvisamente di dimensioni normali, a volte persino modeste: ecco, quello no, quello è ancora l'orso più grande del mondo. Non l'ho mai gettato via, nonostante la polvere, nonostante sia stato la cuccia dei mille gatti passati nella nostra casa, nonostante ora sia una bomba di acari e pulci.

Io lo amo e sempre lo amerò.


Anche adesso, mentre scrivo, lui sta lì ai piedi del letto, con gli occhi languidi e il pelo marcio. Sì perché sono a casa di mamma, seduta in camera mia, con l'idea di terminare questo post iniziato ieri mattina e di sistemare un po' di lavoro per scaricare il più possibile la prossima settimana, data la mega gita in vista. Per ora non ne parlo, preferisco raccontarvela, come al solito, una volta vissuta: sentieri, rifugi, notti nel bosco e panorami meritano sempre un spazio tutto per loro.

Sono arrivata quasi alla fine di questo post e non so più dove sia finita la rabbia del titolo. Cioè, lo so, ma non ho voglia di tirarla fuori, perché è fatta di sentimenti mai provati fino a ora, come l'invidia o il desiderio di vendetta, indirizzati anche verso persone a cui voglio bene e a cui vorrei continuare a voler bene sempre, anche quando non riesco a percorrere la mia strada con la tranquillità che, lo dico forte e chiaro, MERITEREI.
Alla fine, però, è Natale, ho trascorso la mattina in un negozio che adoro, sono stata un'ora al vivaio, ho mangiato la mostarda e tra poco posso scivolare sotto le coperte con un libro. Ho il cuore leggero, aggrappato alle soddisfazioni e alle possibilità che spero diventino qualcosa di più, cosicché il grande salto che mi attende a inizio anno non si riveli, per la seconda volta nella mia vita, un enorme fallimento. La fiducia, quella grossa e vera, andrò a cercarla tra gli alberi.

P.S. Il libro in foto è "Eccomi" di Jonathan Safran Foer e qui potete trovare la mia recensione per A Casa di Cindy.




giovedì 15 dicembre 2016

Ad alta voce

Il titolo del post mi è capitato in bocca l'altra sera.
Sì, in bocca perché me lo sono ritrovato arrotolato attorno alla lingua e l'ho pronunciato, seduta sul letto, ad alta voce.
Ascolto questa e mi preparo a tre ore di laboratori nel pomeriggio (non che vorrei avere una pistola eh, giusto per tranquillizzare genitori e insegnanti); le tre ore di oggi, sommate alle tre ore dei giorni scorsi e alle sette di domenica prossima fanno tredici ore di bambini, colla a caldo, video, cavi, mani alzate, chiavette usb, domande, mattoncini, cartone, mandarini, forbici, pennarelli, plastilina, scotch e ansia. Tantissima ansia. Perché senza ansia non vado da nessuna parte, a quanto pare.

Ho scritto il Leggermente di Dicembre su un libro molto discusso quest'anno, Eccomi di Safran Foer, credo che chiuderò questo post con una citazione degna di nota, quello che penso del romanzo, invece, lo leggerete presto su A casa di Cindy.
Ho iniziato Le Otto Montagne di Paolo Cognetti e, per ora (ho fatto fuori solo il primo capitolo) mi parla al cuore. Ciò, solitamente, è un bene.

Sono giorni pienissimi di impegni, arriverò a Natale stremata. A parte i laboratori ci sono le valanghe di libri da studiare per l'esame di Gennaio, l'incontro con la commercialista per l'apertura di questa benedetta partita IVA, le lezioni di francese che ho dovuto interrompere per due settimane e che spero di riprendere la prossima, la fiera dell'elettronica tra un paio di giorni, alla quale porterò il mio libro.
E questa cosa merita un capitolo a parte.

Chi mi conosce da tanto tempo sa che a casa mia "il Marc" era la fiera dove papà andava a ravattare per poi tornare sempre con un acquisto assurdo per sé e qualcosa di ancora più assurdo per me. In ordine sparso mi furono regalati: l'indimenticabile sveglia che proiettava l'ora sul soffitto, un fantasma a batterie che emetteva un verso orribile (non ricordo se ciò succedesse continuamente o solo dopo determinati stimoli), una pallina di plastica con una luce al suo interno, un divanetto porta cellulare a forma di gatto (???), un walkman, il mio primo stereo. Mi sembra incredibile, adesso, andarci io, mi sembra ancora più incredibile non poterglielo dire. Sicuramente voglio cercare un oggetto ingiustificabile da comprare in suo onore. Dentro di me si fa strada un sogno talmente assurdo da vergognarmene: vorrei essere lì seduta e vorrei vederlo arrivare tra la gente, con la giacca di renna e i pantaloni con le tasche, con la barba lunga e gli occhi verdi, con il sorriso sornione e la sua voce, il suo timbro indimenticabile che non ho saputo ricordare per anni e che ora è qui nelle mie orecchie come se l'avessi ascoltato ieri per l'ultima volta.

Chiudo, come scrivevo prima, con un passaggio tratto da Eccomi (di Jonathan Safran Foer) che mi ha colpito moltissimo (riportare tutte le frasi che ho sottolineato nel libro significherebbe scrivere un post a parte):

"...le enantiosemie: parole che sono il contrario di se stesse. Un film pauroso è un film che fa paura, mentre un uomo pauroso è un uomo che ha paura. Si spolvera una torta con lo zucchero, ma quando si spolvera un mobile la polvere viene tolta. Tirare un sasso vuol dire lanciarlo, ma tirare una corda vol dire portarla a sé..."






mercoledì 7 dicembre 2016

Ricrescere, sempre


La mia vita, come credo quella di tutti, è da sempre costellata di battute di arresto e goffe ripartenze.
Ogni tanto, di solito passano mesi o addirittura anni tra un avvenimento e l'altro, le cose si complicano talmente da diventare pesantissime e difficili da gestire, la fatica si mette al volante e io non riesco a fare altro che non sia sedermi sul sedile posteriore e lasciarmi portare.
Mi pesa, mi pesa moltissimo, perché vorrei invece avere la forza di prendere il comando della situazione e di tirarmi fuori dal caos il prima possibile; poi, però, in sere come questa, penso che forse la chiave di tutto stia proprio nel lasciar andare gli eventi, senza accanirsi, senza cercare di contrastare la corrente, provando, piuttosto, a riposare in attesa di tempi migliori.

Stanno succedendo tante cose belle, una su tutte la diffusione inesorabile, divertente, inaspettata e a macchia d'olio del mio libro: è arrivato in libreria, è arrivato nelle scuole e nelle case, forse arriverà nelle fiere e nei laboratori prima del previsto: una bella soddisfazione. Io subisco battute d'arresto, come dicevo all'inizio, lui invece, piccolo e colorato, va avanti come un treno, anche al posto mio.

Oggi, dunque, ho bisogno di calma, di rifugio e, lo sapete, queste sono due cose che (per me) risiedono sempre in un elenco.

Via, dunque, alla lista di dieci motivi per cui vale la pena ricrescere, come i capelli colorati alla caxxo di cane da un parrucchiere che non ascolta, come la fiducia in se stessi davanti ad un'infinita serie di corsi a scuola in partenza la prossima settimana, come la forza di studiare (nelle vacanze) qualcosa come mille pagine per un esame, come la capacità di non mandare a quel paese il tecnico della caldaia che in due giorni ti chiede quattrocento euro per fare e per riparare quello che ha fatto. Quattrocento euro: un intero corso a scuola, un esame all'università, la giacca gialla e le scarpe verdi che tanto mi piacciono, il Fairphone, venti libri piuttosto costosi, dieci cene all'Osteria della Collina. Uffa.

1) L'Autunno nella mia città, che sto apprezzando troppo poco, ma che vedo ogni giorno, senza avere il tempo e la voglia di raccogliere le foglie gialle che incontro (a parte qualche caso imprescindibile)

2) Il Secret Santa di Cindy: il pacchetto è pronto, partirà tra qualche giorno e dopo aver visto a chi arriverà non posso che essere curiosa e felice di avere l'opportunità di conoscere una persona (almeno apparentemente) così simile a me!

3) Due concerti in tre giorni, tanto belli quanto diversi tra loro

4) Una giornata nell'acqua calda delle terme, tra foglie rosse, ravioli al sugo d'arrosto, capelli a cespuglio

5) Una camminata lungo l'Acquedotto Storico di Genova, l'ennesima, bella come la prima e come la prossima

6) Una nuova serie TV che mi fa venire voglia di ristudiare la storia contemporanea

7) I gioielli comprati da Demodé

8) Una cena di gala, inaspettata quanto divertente, in un posto meraviglioso

9) Un pomeriggio a giocare a uno due tre stella, in mezzo alla strada, per fare felici Emiliano e Martino, dopo un pranzo tutti insieme

10) Una mattina in ospedale, per togliere il tutore di mamma e iniziare finalmente a vedere un'uscita da questo delirio