sabato 28 gennaio 2017

Ventiquattro ore per essere felici


Sabato mattina, sto lavorando. Fosse domenica starei lavorando comunque.

Non mi lamento, non me ne vanto, c'è qualcosa che non va perché non posso (e non voglio) lavorare sette giorni su sette, a ogni ora, su mille binari distinti. Non posso (e non voglio) perché so benissimo che così le cose non funzionano bene, che prima o poi "ci scappa il morto". Potrei essere io a non reggere, potrebbe (ed è infinitamente più probabile) che a uscirne male sia il lavoro stesso.
Ho una testa sola, anche piuttosto stanca e confusa, devo imparare a filtrare, a stabilire e rispettare orari e tempi di recupero, a dedicare energie e attenzione a una cosa alla volta.
Non sembra facile perché non lo è, ma è necessario e vale la pena (e le pene) provarci.
Detto questo, oggi scrivo di una di quelle volte in cui oltre che provarci ci sono pure riuscita.
Sabato scorso, a quest'ora, stavo davanti a una mummia secca, con le ginocchia strette contro il petto, rannicchiata dentro a un sarcofago polveroso.

Sono impazzita? No, ero al Museo Egizio.


Non ci andavo da venticinque anni e quando siamo usciti abbiamo subito incontrato un manifesto promozionale del nuovo allestimento museale che interpretava perfettamente il nostro pensiero dicendo una cosa tipo "se l'ultima volta ti ci ha portato la maestra è ora di tornare a visitare il Museo Egizio di Torino". Esattamente.
Noi abbiamo avuto la fortuna di beccare una guida bravissima, molto chiara e pure simpatica, con un bell'accento del sud, così diverso rispetto al piemontese stretto che avevamo sentito fino a un attimo prima di entrare... Siamo rimasti due ore abbondanti tra vasi, parrucche, sfingi e poggia testa, poi siamo usciti nel gelo, abbiamo mangiato in un posto orribile dove ho atteso più di mezz'ora per un piatto di verdure grigliate e robiola e dove alla fine ho mangiato verdure semi crude, Philadelphia e un insetto. Ma va bene così, dopo la cena buonissima della sera prima e la colazione splendida della mattina, al pranzo si può anche rinunciare.

Il motivo per cui ci siamo spinti fino al Po era questo. Volevamo fare una foto da un punto panoramico dove si vedessero bene la Mole e le Alpi e dove, poco dopo il mio scatto, si è vista pure una mongolfiera bianca prendere il volo lenta e gigantesca.
Quando si dice Mole si dice anche Melissa Erboristeria, ovviamente ci sono andata, ovviamente avevo con me una lista, ovviamente ho comprato tutto quello che c'era scritto sopra, meno ovviamente non ho comprato qualcosa in più.
Però poi fuori c'era Muji e non si può avere tutto dalla vita. Le penne servono sempre, le pinzette sono utilissime, gli elastici a molla non li avevo mai provati, il fermaglio a becco è un must have, la candela al sandalo "che la vuoi lasciare lì?", le mollette da bucato mi sono cadute tutte nel cavedio. Per fortuna alle sei avevamo il treno.

Per chiudere il cerchio con la premessa iniziale, sabato scorso sono stata una giornata a Torino per respirare un momento dopo un venerdì lavorativo iniziato alle 4.30 del mattino e concluso alle 18. Ho dormito in questo posto meraviglioso, mi sono distratta dai pensieri, ho visto cose bellissime che non conoscevo o non ricordavo, ho camminato nel freddo senza quasi sentirlo e sono tornata a casa, con la mente libera e pronta per una nuova settimana di lavoro.

Oggi non ci sono riuscita, ci riproverò.

2 commenti:

  1. Anche io sono andata al museo egizio da bambina, più di trenta anni fa... sarà il caso di tornarci ;-)
    Purtroppo trovare un equilibrio tra energie che vanno e che ritornano non è facile, ma davvero indispensabile, atrimenti, come dici tu, alla fine qualcosa va storto.
    Un abbraccio e buona settimana
    Francesca

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