martedì 25 aprile 2017

"Amava la campagna, i monti, i fiori"

L'anno scorso, in questo periodo, scrivevo del mio viaggio a Bergamo, dove ero riuscita a comprare molti vestiti prodotti in maniera etica ed ecosostenibile.
Quest'anno volevo riprendere l'argomento Fashion Revolution, magari segnalando anche qualche marca attenta alle tematiche e spiegando un pochino come faccio io a portare avanti ogni giorno questa piccola grande impresa.
Poi sono successe un po' di cose, tipo che mi sarebbe anche piaciuto scrivere della gita fatta nel ponte appena trascorso, ma poi la gita (già prenotata e un sacco sognata!) è saltata a causa del meteo.
Quindi i piani si sono un po' ribaltati, della questione "Who made my clothes" ho deciso di parlare alla fine della Fashion Revolution Week segnalando anche qualche link utile e oggi, 25 Aprile, sono andata a fare un giro nella mia città alla ricerca di luoghi della memoria.

Prima tappa Villa Migone, che, lo ammetto, non sapevo esistesse. In questo luogo meraviglioso, attualmente un B&B così bello che mi piacerebbe abitare fuori Genova per andarci a dormire, è stata firmata la resa dell'esercito tedesco il 25 Aprile del 1945. Ieri avevano già organizzato delle celebrazioni, mentre oggi il palazzo era visitabile in tutto il suo splendore. Sul tavolo della sala il documento che dichiara la Liberazione e nel cuore di tutti, ne sono sicura, parecchia commozione.

Il secondo luogo dove siamo andati è stato La Casa dello Studente di Corso Gastaldi, il posto in cui partigiani e antifascisti venivano chiusi per essere torturati e poi variamente uccisi, deportati nei campi di sterminio o messi in carcere.
Se a Villa Migone mi ero sentita bene e piena di emozioni positive, qui ho fatto fatica a non piangere (e, infatti, non ci sono riuscita). Da quelle celle minuscole, sui muri delle quali si leggono ancora scritte incise con le unghie dai detenuti e dediche di addio, sono passati almeno due membri della mia famiglia. Lo zio Giacomo, partigiano prima ferito in un agguato, poi torturato e ucciso e sua sorella Teresa, staffetta coraggiosa che non parlò nonostante le cose abominevoli che le fecero.
I racconti di quello che accadde negli anni della guerra li ascolto da quando sono bambina: dalla parte di mamma conto un nonno prigioniero a Mauthausen e una nonna staffetta come la sorella Teresa, pronte ad aiutare i ragazzi dei monti e a piangerli con dignità, come successe per il povero Giacomo; dalla parte di papà, invece, c'erano nonna Licia e nonno Luigi, lei staffetta incinta di mio padre (nato nel 1943) e lui partigiano che vide suo figlio soltanto a guerra terminata, un anno e mezzo dopo.

Quando oggi davanti agli elenchi delle persone che passarono dalla casa dello Studente ho letto il nome di mio zio non ho trattenuto le lacrime, perché ho pensato a quanto sono distante, io, da comportamenti così incredibilmente eroici. Nonostante il mio impegno quotidiano (e la questione acquisti sostenibili è solo uno dei timidi tentativi che faccio per essere una persona attenta a chi vive su questa Terra come me), non riesco neppure a immaginare cosa possa significare morire per un ideale. Tra le lettere che ho letto oggi pomeriggio c'era quella di Rudolf Fischer alla figlia, che a un certo punto dice così: « Noi » è di piú che non « io ».
Mi sento piccola di fronte a tutto questo coraggio e non posso fare altro che continuare per la mia strada lastricata di scelte intransigenti, spesso così cocciuta da apparire ingenua.

Del resto Augusto Miroglio di mio zio Giacomo scriveva "Amava la campagna, i monti, i fiori".
Da qualcuno credo (spero) di aver preso.


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