giovedì 12 ottobre 2017

Nulla che io ami di più


Con tutto questo lavorare, con tutto questo affanno fatto di incastri, partenze, scadenze, appunti, agende, materiali, consegne, riunioni, risposte, preoccupazioni e speranze ho perso di vista alcune cose.

Una fra tutte: quello che amo di più.


Non riesco a spiegare in poche righe cosa sia, è una sensazione più che altro, di cui ho già scritto spessissimo qui e di cui è già da qualche tempo che non faccio più menzione.
Esiste un periodo, ciclico e inarrestabile, che inizia verso la fine di Settembre e si conclude all'inizio di Dicembre, dove passo, in una manciata di secondi, dall'essere emotivamente distrutta al sentirmi felice come non mai. Non so se capiti a tutti, non so se sia normale, so solo che questa sorta di saudade perpetua mi accompagna senza sosta per un paio di mesi, da sempre.

Ricordo perfettamente il giorno in cui sull'autobus, tornando da una delle escursioni della gita scolastica ad Atene, il mio prof di greco del liceo cominciò a chiamarmi Saudade: ci aveva visto lungo, lunghissimo. Mi aveva parlato di una luce negli occhi, di un mood, di un sorriso abbozzato e di un ombra improvvisa...e aveva così ragione!

Proprio ora, mente scrivo, sono nella "fase buona", nell'attitudine costruttiva: penso ai prossimi mille week end di lavoro in funzione del primo che, invece, sarà di festa. Voglio andare via un paio di giorni e ricaricare gli occhi e il cuore, voglio riempire le pagine di un libro con un sacco di foglie secche, voglio scattare foto agli alberi, ai funghi, all'acqua di un fiume.

Nulla che io ami di più.
Nulla che si avvicini tanto alla mia saudade. Gioia e disperazione, tappeti di muschio soffice e rami spogli.

Una volta, quando ancora avevo del tempo da spendere per alimentare questa fetta importante di anima, trovavo il modo di infilarmi in un bosco a camminare appena potevo. Quest'anno l'autunno l'ho visto, per ora, solo su Instagram. Sono riuscita a fare due passi sulle colline sopra a casa domenica scorsa, dopo un sabato di laboratori. Forte Begato era aperto e scoprirlo è stata una meraviglia inaspettata. Un posto potenzialmente magnifico, abbandonato a se stesso, curato nei dintorni da splendidi volontari, visitabile dal pubblico solo nel fine settimana e lasciato chiuso per tutto il resto del tempo.
Bellezza e desolazione. Saudade.
Rampicanti che si intrufolano negli spiragli delle porte lasciate aperte dai vandali, mantidi religiose che corrono sull'asfalto per cercare riparo dai nostri movimenti maldestri, fiori azzurri che dondolano al vento, una volpe che si nasconde tra le stanze vuote, un prato enorme, un ponte, un anfiteatro, una vista che mozza il fiato.
E poi la luce, quella magnifica delle 16.30 in autunno, quella che comincia a salutare il giorno e ti riempie il cuore di gioia e di tristezza. Saudade.

Oggi sarebbe stato il compleanno di mio padre, stasera io e mamma andremo a goderci una conferenza sulle bellezze delle piante al Museo di Storia Naturale e poi ci prenderemo un aperitivo per brindare a quell'uomo schivo, ironico, difficile, stanco, misterioso e pieno di idee che era papà. Quell'uomo che sapeva ridere e incazzarsi nella stessa frase, che sapeva chiudersi per giorni e farti volare dalla felicità nel giro di una settimana.
Come la luce delle 16.30 in autunno, come il tappeto di muschio sotto i rami secchi. Come il mio cuore oggi, come il mio cuore sempre.
Saudade.

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