domenica 31 agosto 2014

I magnifici 5: gustare

In realtà questo post avrebbe potuto intitolarsi 7000 caffè, il numero che mi ci vorrebbe (ma non so se basterebbe) oggi per svegliarmi.
Eppure ho dormito tanto, ho dormito profondamente, ho dormito bene. Boh.
In fondo in fondo io lo so che il problema è la bilancia e il fatto che i chili aumentino senza che io stia facendo nulla perché questo accada. Mangio abbastanza poco, mangio bene, ma questo stavolta non basta e prima o poi pure a me doveva capitare, un metabolismo inutile e disattivato.
Allora provo ad esorcizzare questa situazione scrivendo qualcosa sul senso del gusto, così come se descriverlo possa aiutarmi ad allontanarlo, possa servire a sentirmi meglio, soprattutto con il mio corpo pieno d'acqua.
Cosa mi piace mangiare?
Tutto. Non ho mai fatto storie, piantato capricci lunghi chilometri, rifiutato un cibo a priori. Amo mangiare e amo altrettanto cucinare. Per me, per gli amici, per la persona del mio cuore.
Le coccole della tavola sono preziose, racchiudono il sentimento di chi ha cucinato: quante volte una torta preparata in un momento difficile non mi è levitata? Decine. Quante volte un piatto sperimentato per la prima volta in un'occasione speciale è risultato buonissimo? Decine di nuovo.
Naturalmente anche io ho i miei gusti e certi cibi se posso evitarli è meglio. Quindi non mi vedrete mai ordinare ostriche (che definisco sempre "uno sputo che sa di mare"), anice (e gli associati Pastis e Sambuca) e cervella (perché i pensieri della mucca proprio no, non mi riesce). Difficilmente sceglierò cocomeri e melone, purtroppo non mi preparerò mai un pomodoro crudo a fette (ma lo mangerò se me lo offrirete) ed eviterò con cura il latte caldo, pellicola di panna in superficie compresa.
Quando ero piccola non c'era verso di farmi mangiare il formaggio fuso, sulla pizza, sulla pasta, sulla brace. Ora figurati, non ordinerei una quattroformaggibianca ma la focaccia di Recco è l'amore mio assoluto.
Quindi, tornando alle modalità solite e rassicuranti dell'elenco ecco di seguito le cose che gusto più volentieri:
- Il caffè (rigorosamente espresso, siano maledetti gli inventori di quello all'americana)
- La pizza (possibilmente margherita con lo stracchino al posto della mozzarella)
- La cioccolata (extrafondente, please)
- Il vino (mai dolce, va bene bianco, magari con le bolle, va bene rosso, va bene rosè)
- La carne e il pesce crudi (tartare, sashimi, carpaccio...una goduria)
- I formaggi (senza esclusione di colpi, dal più stagionato alla ricotta)
- Le pesche bianche (in assoluto, insieme ai fichi neri, il mio frutto preferito)
- Il pesto (sì, lo so, ogni scarrafone...)
- Le verdure (davvero, tutte o quasi, persino il cavolo, persino lesse. Se poi sono fritte non rispondo di me)
- Le caramelle Rossana (quelle che mi comprava la nonna, indicandole nel vaso di vetro della drogheria sulla piazza, impacchettate nella carta a fiorellini rossi)
- Il comfort food in generale (per eccellenza vincono pane-burro-acciughe, pane-olio-sale, pane-burro-zucchero, pane-cioccolata)
- Il classico piatto di pasta (che risolve l'ultimo minuto, che se è aglio-olio-peperoncino fa subito infanzia, che si scola al dente e si mangia bollente)
- Le patate (che lo so, le verdure le ho già dette, ma le patate sono oltre: lesse, fritte, al forno, purea, peccato non si possano mangiare pure crude)
- Le zuppe (tutte, perché prima ancora del gusto mi conquistano il gesto del mestolo che le distribuisce, il calore che sale dai piatti, la sensazione di protezione che provo ad ogni cucchiaio)
- Il gelato (creme, senza ombra di dubbio, il limone lo preferisco sul frittomisto)
- La cheesecake (in assoluto il mio dolce preferito, potrei mangiarne fino ad uccidermi e non credo sia nemmeno troppo difficile)
- Il risotto (per conquistarmi preparatemelo con i porri, per farmi felice va bene ad ogni modo)
E poi potrei continuare in eterno, frittate, torte salate, panna, frutta secca, birra, selvaggina, non sono un buon soggetto a cui chiedere "Cosa vuoi per cena?", rischierei di non avere una risposta!

P.S. La foto fa parte del progetto Oneleafadayproject, di cui ho scritto nell'ultimo post.


venerdì 22 agosto 2014

One leaf a day Project

Quest'anno è un anno senza progetti.
Un po' di quelli in cui speravo non è finito bene, altri sono in scadenza, altri ancora ho deciso che basta, se andranno sarò contenta e se non andranno sarò contenta uguale.
In compenso, nella mia totale sconclusionatezza, ho avviato mille cosine sul fai da te e sul riciclo creativo che ormai conoscete, perché le ho sbattute su questi schermi più e più volte con un poco di imbarazzo ma anche con un goccino di malcelato orgoglio.
Pure il piccolo progetto che presento stasera, chiamato One leaf a day Project come dice il titolo del post, non vuole essere altro che un modo per scandire le giornate, un po' troppo spesso simili uguali tra loro, comunque belle, ma con una marcia in più se ad accompagnarle ci starà una foglia. Anzi, novantanove foglie.
Perché proprio novantanove? Perché come mi ha detto oggi il vicino-vicino: "superate le 100 foto rompi il cazzo". Non fa una piega. Raccolti i preziosi consigli del sommo conoscitore in materia, radunate fantasia e passione per il fogliame in generale (dalle spine ai palmizi, amo tutto senza distinzione di sorta), acchiappato il cellulare e l'unico social su cui ancora bazzico assai (Instagram), ho iniziato.
Il primo scatto, in verità, è di ieri e lo testimonia il casino di descrizione spezzettata in mille commenti diversi nella quale ho tentato goffamente di spiegare i miei intenti. "Primo giorno di un progettino estemporaneo, 99 foto di foglie, una al giorno. Raccolte per strada, nel bosco, al parco. Trovate per caso, cadute in giardino, scivolate sotto il portone, nate per sbaglio. Fotografate vicino a me, possibilmente riconosciute, sicuramente amate". I cancelletti pensati sono #oneleafadayproject #day...(a seconda del giorno) #...(nome della foglia in questione, o presunto tale).
Poi potranno esserci frasi di accompagnamento, informazioni sulla foglia scelta, brani di canzoni, poesie, link utili. Insomma, l'idea (vaga ma moooolto romantica) è quella di accendere una lucetta su una protagonista del giorno, perché le foglie, oltre che bellissime, sono utili e ci possono spiegare un sacco di cose interessanti. La loro forma, il loro colore, la loro presenza, ma anche e soprattutto la loro assenza, sono tra gli aspetti più importanti della natura che ci sta intorno e che merita amore incondizionato. Sempre.
Quindi io partecipo, chi vuole seguirmi è il benvenuto, chi non vuole è benvenuto lo stesso. Evviva.
Questo è il link alla foglia di oggi, uno dei primi fiori che ho imparato a riconoscere e ad apprezzare. Lo trovate nei prati selvaggi e nei boschi umidi, dovete lasciarlo stare perché è protetto (e perché, in generale, i fiori stanno bene dove sono), potete seminarlo e crescerà rigoglioso, riproducendosi a suo piacimento, proprio come è successo a me.
Non scriverò un post al giorno, per ogni scatto, ma chi vorrà troverà le foglie che ho scelto sul mio profilo instagram, o nel loro ambiente naturale.

mercoledì 20 agosto 2014

Maddeché

A sto giro ilmareingiardino lo avevo veramente.
Che in realtà qui non è successo nulla (o quasi), mentre nella cittadina di mare subito accanto è stato devastato tutto.
Questo è accaduto ieri, oggi non piove ma poco ci manca, io ho i capelli nuovi rossi-rossissimi e stasera dalle 18.30 il "mio giardino incantato" verrà invaso dagli amici per l'Aperestivo dal tema marinaro.

Menu:
- Hummus di ceci
- Tartine pesto/burro e salmone
- Salame
- Parmigiano Reggiano
- Pasta fredda
- Verdure grigliate e crude
- Gazpacho andaluso nei bicchieri
- Polpettone di patate e fagiolini
- Frittata di bietole
- Macedonia
- Stracchino condito
- Focaccia, pizza, dolci e mille schifezzine da sgranocchiare nell'attesa

E da bere mojito, spritz, negroni giusti e sbagliati, vino, birra, succhi, digestivi e latte materno. Perché ci sarà anche Martins, ovvio.
Da qualche giorno ho disattivato il mio account Facebook, cause di forza maggiore.
Le letture di questo piccolo blog sono colate a picco, a dimostrazione che senza marketing non funziona una cippa. Ma io, come al solito, me ne frego e provo il metodo instagram per vedere come va.
Sabato, il mio giretto (infinito) al pronto soccorso ha aggiunto stress allo stress ma si è concluso tutto bene (se non contiamo la mancanza di diagnosi e le previsioni infauste del Merolone di turno che mi ha visitata).
Il lavoro da cui dovrei essere in ferie mi tormenta comunque, ma la giornata alle terme che mi aspetta, i libri bellissimi che sto leggendo, la buona abitudine ad essere felice che ho preso da qualche tempo, rendono ogni cosa bella, anche la più semplice.
E quindi mi viene in mente il titolo del post: l'esclamazione rubata ad una ragazza romana incontrata in un viaggio di studio, che quando non capiva qualcosa o si arrendeva davanti ad una spiegazione che sottintendeva ovvietà per nulla ovvie, mi guardava, sgranava gli occhi, e diceva: "Maddechè???"
Dinanzi all'ansia per l'ennesimo bando in scadenza, alla paura di restare sola che comunque c'è pure quando non si vede, all'ultima goccia di chimica che mi aspetta domani, mi fermo, sorrido, e dico "Maddechè???".
Doppia colonna sonora di oggi in cucina: 1 e 2




martedì 19 agosto 2014

In fuga

L'ho finito.
E non so assolutamente come scrivere una recensione decente di questo capolavoro.
Occorre premettere che non amo i racconti, proprio no. Ho bisogno di essere coinvolta, di innamorarmi dei personaggi, di attendere con ansia i colpi di scena, le liti, gli abbandoni, le soluzioni, le svolte.
Con un racconto, che sai finirà, che per quanto complesso e articolato sia non ti accompagnerà fino all'ultima pagina, che magari è noioso e ti fa perdere la voglia di leggere quelli che lo seguiranno, è difficile affezionarsi.
Ecco. Scordatevi tutto quello che ho appena scritto quando prenderete in mano il libro della Munro.
Ha vinto il Nobel, è vero, ma non potrebbe proprio essere altrimenti. Dov'è che avevo letto qualcosa sul suo conto che mi aveva fatto affiorare la curiosità di andarla a cercare? Ah ecco sì, in un botto di pensieri di Paolo Cognetti (I love you), in qualche scaffale degli amici di Giulia e poi forse in libreria, scontrando una copertina che mi piaceva, facendomi rapire da un cartello seminascosto.
Comunque, ho comprato In fuga, che è del 2004 ed è edito da Einaudi.
Ci sono tre racconti con la protagonista in comune mentre gli altri sono tutti solitari, isole galleggianti in un mare immobile.
L'inesorabilità della scrittura di questa autrice mi ha stregata. Non succede nulla e nello stesso tempo succede di tutto. Sliding doors come se non ci fosse un domani, promontori solitari e noiosi dove all'improvviso si bruciano persone su una pira in spiaggia, abiti verdi le cui sfumature di colore fanno differenze enormi, segreti inconfessabili e a volte inconfessati, vite che si sgretolano in un attimo o che continuano a procedere lente, inesorabili appunto, come se nulla fosse.
Di solito scrivo brani tratti direttamente dal libro che ho letto ma stavolta non lo farò. Non ne vale la pena, probabilmente i pezzi che sceglierei perderebbero significato e sarebbero avvilenti per lo stile, la prosa secca e femminile, il lessico ricercato e appagante scelti da Alice Munro. Perché davvero nelle sue pagine si leggono frasi di un tempo, con costruzioni perfette, parole perfette, utilizzo dei tempi verbali perfetto.
Non c'è un'esclamazione di troppo (proprio come piace a me), nulla è dato per scontato, niente è scritto male o con scarsa attenzione per la bellezza.
Insomma leggetelo e quando sarete alla fine del racconto intitolato Passione immaginate di essere al tramonto, in spiaggia e che dallo stereo del piccolo bar a picco sugli scogli parta questa canzone, esattamente come è successo a me.

P.S. Per dovere di cronaca, il mio racconto preferito è Scherzi del destino.

martedì 12 agosto 2014

QB: una goccia nonostante

Qualcosa di brutto.
Oggi la mia lotta con la chimica mi vede in netto vantaggio. Anzi quasi pareggio. 1 a 0 per lei. Una goccia. Poi basta.
E mi sento bene.
Però nel frattempo sono diventata una fragilona. Passano gli anni e le cose peggiorano, negli ultimi mesi poi...piango anche per quello che, effettivamente, dovrebbe farmi piangere. I morti per esempio.
Ne ho visti tanti senza versare una lacrima, anche di molto vicini a me. Di giovani. Di vecchi. Di morti bene (ammesso che si possa morire bene). Di morti male. Ora patisco pure per quelli che non conosco, pure per quelli famosi.
Oggi, per esempio, è uscita la notizia che è morto Robin Williams, l'attore. S'è ammazzato.
E io, che non sopporto le frasi sui Social Network, le foto, i pezzi di film, i saluti e le cose così, non ho letto nulla. Poi stasera mamma mi chiama e mi dice che si è impiccato e che aveva il polso sinistro un po' tagliato.
Io, davanti a questo, non ce la faccio. Non che un altro suicidio sia meno grave, non che annegarsi, lanciarsi sotto al treno, bersi tutta la boccetta di gocce, sia diverso, assolutamente no. Ma non faccio che pensare a quest'uomo che si taglia un polso, che magari era destro e che quindi quando ha dovuto impugnare il coltello con la sinistra ferita non è riuscito ad andare avanti. E che comunque non ha rinunciato. Ha avuto tempo e ha continuato. Cintura, porta. 911.
Cosa succede in quei minuti?
Non lo sa nessuno credo.
Né ho intenzione io, che lotto ormai solo con una goccia (yeeee!), di scrivere un pensiero qualunque sull'argomento.
Parlavo poco fa con il vicino-vicino di quell'insegna luminosa che dice EXIT e per fortuna che lui, come sempre, ha trovato il modo per affrontare un argomento serio e per fornirmi/ci all'improvviso una via di fuga veloce. E pure divertente (molto divertente).
E alla fine, se ci penso bene, questo QB: qualcosa di brutto, forse non è così terribile, perché si porta con sé una nuova capacità: soffrire per quello che è sofferenza vera. Come fanno tutti, o quasi.
In questo giorno di lavoro nonostante le ferie, di tempo grigio nonostante l'estate, di acquisti vintage nonostante il negozio fosse un centro estetico, in questo giorno di nonostante voglio essere felice. Nonostante.
E magari rivolgere un pensiero volante a una persona che non è riuscita a continuare, che ha aperto quella maledetta porta EXIT, nonostante fosse famosa o lo fosse stata, nonostante fosse conosciuta, amata, apprezzata.
Quel nonostante l'ha fregata.
Che peccato.




domenica 10 agosto 2014

Il mio Albero genealogico

Sempre di Albero, dopotutto, si tratta.
L'idea l'ho presa da questo post, perché anche io, come un sacco di ragazze nel mondo, sono Clioaddicted. Chi mi conosce sa che mi trucco poco (quasi nulla), giusto in inverno e solo raramente oso un po' di fondotinta e di colorito posticcio, altrimenti sono unicamente gli occhi che "curo" di più: un velo di rimmel d'estate, una riga di matita e un carico più strong di mascara quando fa freddo. E basta. A volte burrocacao, ultimamente (ma per terapia, è una storia lunga...) metto lo smalto.
Clio la seguo perché mi rilassa: in un pomeriggio di tristezza autunnale ho scoperto che ascoltare un suo tutorial significava imbambolarmi e non pensare a nulla. Da quel giorno, sembra assurdo, non ho mai più smesso di farmi tranquillizzare da lei e questa storia della parentela l'ho scoperta così, navigando alla ricerca di tranquillità.
Ricordo che da piccola ricostruii tutto il mio albero genealogico da parte di mamma, fu un lavoraccio, ma mi piacque e mi fece sentire parte di qualcosa di grande, complesso, storico.
Qui, più semplicemente, vorrei pensare a cosa ho preso e da chi, questioni genetiche insomma, appartenenze più o meno visibili che mi legano ad uno o ad un altro membro della mia famiglia. Difficile famiglia. Stramba Assurda famiglia.
Allora, sorriso di papà e risata di mamma. Perché c'è differenza. Se tiro fuori i denti mi illumino tutta come mia madre, ma in genere alzo solo mezzo angolino delle labbra e via con le fossette del babbo. Capelli sottili come papà ma mossi come mamma. Occhi verdi-marroni-grigi-gialli di mamma ma taglio di papà. Naso di papà con punta di mamma. Mani di mamma, senza dubbio. Pelle fotofobica di papà, senza dubbio.
Voce di mamma (e meno male, mi viene da dire), piedi di papà (e meno male, mi viene da dire di nuovo).
Tutto il resto è un frappè. Un grosso frullato generazionale, in cui la parte femminile arriva dritta dal ramo maschile e viceversa. Ho la struttura fisica del fianco largo (ma, ahimé, delle tette piccole) dell'area romagnola di nonna Licia, così come l'amore per la cucina e per il cibo in generale. Se mia madre potrebbe andare avanti a riso in bianco e verdure lesse io, quando posso scegliere, inforno qualcosa.
Sono paziente all'inverosimile e questo credo arrivi invece da Rosa la nonna materna, o forse da Luigi nonno paterno. Sicuramente non dai miei genitori.
Amo la musica da matti e Luigi, beh, cantava lirica.
Leggo anche sotto la doccia e quello è facile, arriva da mamma e da nonno materno Bartolomeo.
Spenderei tutti i soldi che ho, pure quelli dei vicini di casa se necessario, e come me facevano mio padre e sua madre, non so nulla dei bisnonni e dei prozii invece, che con nomi esotici come Tancredi, Vinicio e Ione, per quanto mi riguarda avrebbero potuto fare qualsiasi cosa.
La parte invisibile, quella davvero genetica per capirci, l'ho raccolta con attenzione, scegliendo il peggio da ogni membro della mia stramba assurda famiglia.
C'è la voglia di viaggiare di mamma, che evidentemente mi ha trasmesso anche la maledizione di colui che resta e per questa ragione trovare qualcuno che mi dica "fai la borsa che andiamo" sembra essere impossibile.
C'è l'istinto indipendente sempre di mamma (ma pure di papà alla fine) che effettivamente su di me è un tantino dominante, fortunatamente che il lato femminile-emiliano di cui sopra mi porta a saper donare affetto (pure troppo) quando sento di poterlo fare. La parte altruista temo giunga da prozio Giacomo, partigiano fratello di nonna Rosa, ammazzato in un agguato probabilmente teso dai suoi stessi amici. Potrebbe però arrivare da prozia Teresa (che se mai avrò una figlia lo sanno tutti che si chiamerà così), che s'è fatta torturare alla Casa dello Studente senza dire dove stava Giacomo, che però la fine di merda l'ha fatta lo stesso.
Poi c'è l'amore incondizionato per tutte le bestie che senza dubbio mi ha lasciato papà, così come l'incapacità di perdonare chi mi ha fatto male davvero, mentre il bisogno di camminare all'aria aperta è tutto merito di mia madre.
E alla fine c'è questa passione, quella per la scrittura dico, che è l'unica ragione per cui devo dire grazie a mio nonno Berto.



domenica 3 agosto 2014

Impronte sulla neve

"Prima di amare, impara a camminare sulla neve senza lasciare impronte" dice un proverbio turco, e santiddio quanto è vero.
Con leggerezza, estrema. Con tranquillità, estrema. Con attenzione, estrema. Sono questi i modi in cui mi immagino camminare sulla neve, nel complicatissimo tentativo di non lasciare tracce.
Cosa vorrà dire? Non lo so, io la interpreto così: un gesto difficile, un movimento di velluto, che occorre saper fare alla perfezione prima di amare, pena il fallimento stesso dell'amore. D'istinto poi penso che allora sia impossibile amare, quanto lo è probabilmente riuscire a camminare nella neve senza affondare nemmeno un poco con i propri scarponi.
In almeno diciassette anni di onorata carriera nel mondo dell'amore credo di aver passato più tempo a cercare di uscire da una valanga che a passeggiare tranquilla in mezzo al bianco.
Ci ho provato, non so neppure più io quanto, e ogni volta ho aggiustato il tiro. Ho cambiato scarpe, ho messo i ramponi, le ciaspole, gli sci, ho scelto la neve fresca, quella compatta, quella sporca e quella quasi ghiacciata. Ho camminato col sole, con la pioggia e con altra neve che arrivava dal cielo. Ho camminato con il caldo, con il freddo gelido, con il vento e con la calma totale che solo la neve appena scesa, quella nuova ed emozionante, sa darti.
Ho sempre lasciato impronte, ho sempre fallito. A volte di più con solchi profondi, a volte di meno con semplici strisciate. Ma non sono ancora riuscita ad entrare in armonia e in risonanza, passando senza tracce nel paese dell'amore.
Riflettendo in questa giornata di pioggia, più simile ad un autunno anticipato che a una domenica di inizio agosto, mi sono accorta che davvero le tecniche possibili le ho provate tutte. So essere accondiscendente (sono maestra in questo, per la verità), so essere dura, so essere dolce, so essere compagnona, so essere femmina, so essere maschio, so essere simpatica, so essere sexy, so essere allegra, so essere triste, so essere buona, so essere affettuosa, so essere di pietra e so essere sfuggente. Sono diventata fotografa, scrittrice, cuoca, lettrice, educatrice, camminatrice, imprenditrice, assegnista, creativa, arrampicatrice, cameriera, ballerina, intellettuale, cazzara, bevitrice e salutista. Ho pesato quarantanove chili e cinquantasette chili. Ho vissuto con i genitori, con un genitore, con gli inquilini, da sola. Ho dormito con uomo e me ne sono lamentata. Ho dormito senza un uomo e me ne sono lamentata. Ho dormito con un uomo e ne sono stata felice. Ho dormito senza un uomo e ne sono stata felice. Ho vestito come un maschio, ho rasato la testa, ho indossato pantaloni larghissimi, ho messo jeans stretti, ho infilato gonne, tacchi, sandali e ballerine, ho tinto i capelli e li ho resi lisci, ho liberato i boccoli e li ho raccolti, ho messo il rossetto, il mascara, il profumo e lo smalto alle unghie. Sono uscita in tuta e con il cappotto, ho infilato i piedi negli stivali da pioggia e ho scordato l'ombrello. Ho ascoltato musica italiana e straniera, hip hop, rock, disco, indie, grunge, classica mentre leggevo libri gialli, romanzi, saggi, poesie.
Ho studiato arte, chimica, robotica e di nuovo arte. Ho bevuto birra, rum e vino bianco.
Sono andata a letto presto e ho fatto l'alba. Ho accolto un nuovo anno ballando, bevendo, camminando, piangendo e facendo l'amore.
Con quello che sono stata, con quello che sono e con quello che sono diventata, potrei andare avanti ore, ma non servirebbe a nulla, mi sa, visto che nella pratica non cambia un tubo. Quando mi sembra di essere accessoriata con i pezzi più giusti qualcosa immancabilmente non va e quasi sempre immancabilmente sono io. Che non so neppure più tornare indietro, a quando ero composta da un solo tipo di musica, di vestito, di acconciatura, di abitudine, di passione, di lavoro e di comportamento. Ora sono un frullato di cose, che goffamente cerca di tirare fuori l'accessorio giusto al momento giusto, affondando con un piede nella neve mentre con una mano aggiusta il cappello di piume e con l'altra controlla il rossetto.
Ci sono giorni che mi sento piena di risorse, di possibilità, giorni in cui credo di essermi creata così mille sbocchi, porte aperte, un'istintiva capacità di stare con le persone e, perché no, innamorarmene. Ci sono altri giorni, come oggi, in cui mi faccio solo una tristezza infinita.



sabato 2 agosto 2014

I magnifici 5: toccare

Oggi, con l'inizio di un nuovo mese, inauguro una piccola scia di post, che durerà giusto il tempo di contare fino a cinque e che passerà quando avremo finito le dita di una mano.
Mi piacerebbe provare a scrivere del mio legame con i cinque sensi, iniziando, completamente casualmente, dal tatto.
Ormai è noto che odio essere toccata, a meno che non ci sia urgenza (medico), necessità (estetista), affetto (mamma), attrazione fisica (ma deve essercene parecchia).
A mia volta sono una persona che tocca poco, la gente intendo, non sento nessun bisogno di tenerti un braccio quando ti parlo, né di carezzarti la schiena per passare, di solito mi basta dire "permesso" (o urlarlo, se necessario).
Questo mio rapporto con il tatto è per me molto importante, perché sulla base del fastidio che provo a ricevere o dare attenzioni fisiche ad una persona, soprattutto ad un uomo, riesco a comprendere quanto mi piaccia o quanto bene provi per lui/lei. Normalmente amo circondarmi di amici simili a me, o delle cui incursioni tentacolari non sia particolarmente spaventata.
Quindi, fatta questa premessa sulla mia religione suprema, la prossemica, posso cominciare davvero a scrivere il post, cercando di raggiungere i punti caldi della questione: cosa mi piace toccare?
- L'acqua del mare (quando fuori è caldissimo e basta pucciare la punta delle dita per stare subito meglio)
- Il pelo di un gatto (qualsiasi, Agata su tutti, perché è la mia Bibbi)
- La nuca di un uomo (meglio se rasata, meglio se la amo)
- Salamino (ndr il mio eterno cane di raso rosa...)
- L'erba fresca (di rugiada magari, che se ti siedi poi ti rialzi zuppo e profumato)
- La barba (mi piaceva quella di mio padre, amo tanto quella del mio amico Edu, morbidissima!)
- I ciottoli caldi di sole (quando ormai è sera, tutto è tramontato, ma l'estate resta lì intrappolata tra le pietre lisce)
- Gli abiti di seta (e ne ho tanti proprio per quello, scovati nei negozi vintage, per farmi abbracciare dalla stoffa)
- La carta (tutta, che sia riciclata, spessa, fotografica, rigida, morbida, tutta davvero)
- La schiena dell'uomo che amo (e non c'è nulla da dire, potrei stare lì per ore, a parlare accarezzando una schiena che amo)
- La crema al cioccolato bianco della Fra (chi non l'ha provata non lo sa, una volta pucciato il dito è finita, entra subito in scena il senso del gusto)
- Le biglie di vetro (di quelle che usavano quando ero piccola e che in tasca scappavano tra un dito e l'altro tintinnando un po')
- La neve (e tutto quello che si porta con sé)
- La mano di mia madre (l'unica che non mi darà mai noia)
- La nebbia (che è difficile da toccare, ma con la faccia si può eccome, se poi si è in moto è un attimo)
- Le castagne, i semi delle nespole e dell'avocado (tutti tondi, lisci, pieni di forza)
- La ciotola del riso (crudo eh, accogliente e ricco di polverina)
- Le piume di una gallina (uno dei primi ricordi tattili che ho, un poco dure e un poco lisce, come la vita)
- Il tronco di un albero (e non c'è nulla da dire anche qui, è amore allo stato puro, è casa)
Sicuramente me ne verranno in mente altre mille, di cose che amo toccare, ma non fa niente...va bene così.
Buonanotte